La pm cita suo figlio al processo per il Ccf Lui sbotta: vergogna
Al processo per il Credito cooperativo il senatore sbotta: «Vergogna». Poi lascia l’aula
Ha seguito attentamente la requisitoria seduto accanto al suo avvocato, prendendo appunti su tutti i passaggi più importanti, quelli ai quali avrebbe voluto replicare seduta stante. Poi, alla quarta ora di ascolto, ha perso la pazienza. Quando la pm Giuseppina Mione ha ricordato di quella volta che il figlio chiese la disponibilità di una camera a Forte dei Marmi, nell’albergo dell’imprenditore Riccardo Fusi, il senatore Denis Verdini si è alzato, ha raccolto le sue carte, ha imprecato tra i denti e a passo spedito si è diretto verso l’uscita.
«È una vergogna, ora basta. I figli no», ha detto furibondo mentre si chiudeva la porta alle spalle, inseguito dagli uomini della scorta e dai giornalisti.
È uscito così dall’aula 30 Verdini, imputato al processo per il crac del Credito Cooperativo, la banca di cui è stato presidente per 20 anni(fino al 2010) mentre il pacato presidente della Corte, Mario Profeta, si è visto costretto a richiamare l’avvocato Ester Molinaro, difensore del senatore, per spiegare con toni garbati che «così non si fa», ribadendo poi alla fine dell’udienza che «mi riesce difficile rimanere così compassato, non voglio più assistere a scatti di ira e gesti plateali» e assicurando comunque che «la cosa si chiude qui».
Dopo diversi rinvii, dovuti anche alla crisi di governo, il maxi processo che conta 43 imputati, con accuse che vanno dall’associazione per delinquere alla bancarotta, dalla truffa ai danni dello Stato alle false fatture, si avvia alle battute finali. Ieri è cominciata la requisitoria della pm Giuseppina Mione poi sarà il turno del procuratore aggiunto Luca Turco.
L’udienza di ieri è servita alla pm per ricostruire il sistema di funzionamento della banca in rapporto agli imprenditori Fusi e Roberto Bartolomei, anche lui imputato, «legati a doppio filo con Verdini». La loro, sottolinea la pm, «non era solo amicizia. Insieme condividevano gli interessi economici anche se non siamo riusciti a ricostruire quale fosse la sostanza degli affari. Le conversazioni provano che Verdini è stato molto più che un amico. Ha speso il suo potere per procacciare gli affari a Fusi, come ha dimostrato la vicenda della scuola marescialli».
Il gruppo Fusi — ricorda la pm — aveva da solo un’esposizione superiore al patrimonio della banca «ma grazie ai contratti preliminari di vendita farlocchi venivano concessi affidamenti alle società del gruppo. Un sistema che gli imprenditori hanno manovrato con spregiudicatezza e che ha consentito loro di galleggiare, fino a quando il gioco non è sfuggito di mano, facendoli sprofondare». Lo scopo di questi contratti, ritiene la procura, era alimentare le società del gruppo Fusi-Bartolomei che «venivano manovrate come marionette», in modo da far girare i soldi e dimostrare «una apparente operatività, in una sorta di gioco delle tre carte». «Sfido chiunque di voi ad andare in banca e farsi dare soldi su un foglio senza data né firma», ha poi concluso la pm.
«È inascoltabile questa ricostruzione — è stata la replica di Verdini — Quei fidi rientrarono tutti. La pm omette di dire che si trattava di persone fisiche, con redditi e patrimoni, che rilasciavano fidejussioni e polizze assicurative. Quel circolo vizioso descritto dai pm è riferito anche a Bnl che però non è in questo processo».
La requisitoria riprenderà giovedì alle 10 per poi proseguire a gennaio.
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