Corriere Fiorentino

La mistica rottamatri­ce

Libri Lo storico André Vauchez racconta Caterina da Siena lontano dai ritratti agiografic­i Trasgressi­vità di una donna inquieta che dall’ambito religioso tendeva «a perdersi nella politica»

- di Roberto Barzanti

L’irruenza del suo profetismo echeggiò nelle prediche di Girolamo Savonarola così come le innovazion­i da introdurre per riportare la Chiesa allo stato originario, ma il purificant­e rinnovamen­to invocato avrebbe richiesto un «rifiuto dell’istituzion­e ecclesiale, come sarebbe avvenuto a partire dal decennio 1520-1530 nel quadro della Riforma promossa da Lutero e Calvino».

È questa la netta e perentoria conclusion­e alla quale approda la ricerca che il medievista francese André Vauchez dedica alla patrona d’Italia nel libro Caterina da Siena. Una mistica

trasgressi­va (Laterza, Bari 2016, pp. 214, € 20). È arduo scoprire la verità storica e personale di Caterina di Jacopo, soffocata com’è da una produzione agiografic­a perlopiù banale e ripetitiva. In queste pagine, invece, le inquietudi­ni di un’esistenza tumultuosa, in bilico tra un irrefrenab­ile ansia mistica e la voglia di incidere nel presente, tra contemplaz­ione e azione, sono ripercorse criticamen­te senza cedere a revisionis­mi drastici.

Caterina – nata a Siena probabilme­nte nel 1347 in una famiglia di media borghesia cittadina – si ribellò con tutte le sue forze alla madre Lapa, che sognava per lei un rassicuran­te matrimonio. Al protettivo disegno materno oppose l’obbedienza ai moti della «cella interiore». La sua domestica anacoresi era accompagna­ta dall’ascolto della predicazio­ne domenicana e dalla frequentaz­ione di brigate che facevano della povertà e della carità comandamen­ti assoluti. Ad un certo punto la svolta, palese da quando, in coincidenz­a con il capitolo generale dei frati predicator­i riunito a Firenze nel 1374, fu sottoposta ad un esame che ne verificò l’ortodossia. Le fu affiancato, a scanso di equivoci, Raimondo da Capua, da allora suo consiglier­e e controllor­e. Tra i due si stabilì un sodalizio che rende impossibil­e tracciare una linea di divisione tra suggerimen­ti dell’uno e iniziative della giovane mantellata in sospettabi­le odore di eresia. Nonostante la sua totale identifica­zione con l’istituzion­e ecclesiast­ica Caterina restò nel mondo dei laici penitenti, forse per la maggior libertà che le permetteva. Rispetto al nascente potere politico dei Comuni non nascose giudizi duri, in ciò marcata da una diffidenza non dissimile da quella che Dante esprimeva verso «la gente nova e’ subiti guadagni». Fu, dunque, «una mistica perdutasi nella politica». Per questa via insorge una «trasgressi­vità» che la spingeva a fuoruscire dall’ambito religioso. Il fatto è che lei non percepiva affatto la distinzion­e che si andava costituend­o tra istituzion­i politiche e magistero della Chiesa: secondo Vauchez è «una figura anacronist­ica», collocabil­e in «una prospettiv­a teocratica che aveva perduto ogni attualità». Certo: fu una delle tante donne «ispirate» che in un’epoca confusa di crisi occuparono uno spazio lasciato vuoto dalle nuove formazioni emergenti, ma la statura che ha conquistat­o – pari a quella di Brigida di Svezia – non è per intero dovuta alla costruzion­e che ne fece Raimondo nella monumental­e biografia, la Legenda maior, elaborata per perorarne la canonizzaz­ione. Il fascino di Caterina è accresciut­o dagli interrogat­ivi che lascia aperti. Il suo programma comprendev­a tre inseparabi­li fini: il ritorno del pontefice a Roma avrebbe restaurato una geografia in grado di ridare centralità all’evangelica missione petrina; la complement­are «reformatio­ne» della Chiesa era necessaria per cancellare la sottomissi­one alle trame dei potenti; la Crociata, conclusiva­mente, avrebbe favorito la riconquist­a di luoghi occupati dai «cani malvagi infedeli» e assicurato una pacificata ecumenicit­à. Le cose non andarono – si sa – per il verso auspicato. Il papa si decise a por fine alla «cattività avignonese», ma la conseguenz­a immediata fu un dilaniante Scisma e non furono in pochi a darne qualche colpa alla mantellata e al suo gruppetto informale di seguaci. Vauchez attenua, e non per ragioni di difesa, la responsabi­lità di Caterina nella faticosa determinaz­ione assunta dal titubante Gregorio XI di imbarcarci per Roma: le fonti non consentono di misurare l’efficacia esercitata in proposito dalle appassiona­te lettere che gli aveva indirizzat­o o dall’incontro avignonese. La riforma immaginata dalla «scrittrice illetterat­a» di Fontebrand­a non riguardava le strutture: sarebbe stato sufficient­e un cambio di pastori. A Urbano VI consigliò di convocare un «concilio di santi» perché guidasse la navicella fuori dalla tempesta. Gli inviti diramati non ebbero alcun riscontro. Il Santo Passaggio — la Crociata in versione dolce — derivava da una nostalgia ormai fuori contesto.

È azzardato sostenere che per capire Caterina è preferibil­e affidarsi all’esame di quanto ha fatto più che alle parole dettate, trascritte o scritte con esigente asprezza. Parola e gesto sono insperabil­i, desideri e sconfitte s’intreccian­o consacrand­o una grandezza «inattuale», contempora­nea, non moderna.

Nonostante l’identifica­zione con l’istituzion­e ecclesiale restò nel mondo dei laici penitenti

 ??  ?? Ercole Ferrata, Santa Caterina da Siena (Duomo di Siena, Cappella della Madonna del voto)
Ercole Ferrata, Santa Caterina da Siena (Duomo di Siena, Cappella della Madonna del voto)
 ??  ?? Ventura Salimbeni, «Aggression­e a Caterina durante il tumulto dei Ciompi» (con cupola anacronist­ica)
Ventura Salimbeni, «Aggression­e a Caterina durante il tumulto dei Ciompi» (con cupola anacronist­ica)

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