Corriere Fiorentino

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- Calcagno

Quando apparvero per le vie e per le piazze di Firenze, i giocolieri del Circo Gratta conquistar­ono subito il pubblico, e soprattutt­o i bambini, stremati dalla Guerra. «La città era nella morsa: c’erano gli americani al Piazzale Michelange­lo, i tedeschi a Fiesole. Di giocattoli nemmeno l’ombra. Io avevo cinque anni e quando arrivò il Gratta fu una rivelazion­e». Massimo Masieri dirige il teatro delle Laudi da oltre trent’anni, e da una vita sogna di rendere omaggio sulla scena allo storico circo. L’occasione è scaturita dall’incontro con Stefano De Rosa, critico d’arte e curatore che nel 2004 ha pubblicato per Polistampa Quando c’era il Gratta, ora ristampato, che ricostruis­ce la storia del circo anche con l’ausilio di preziose foto d’archivio. «Gli ho proposto di scriverci una commedia, e lui ha accettato con entusiasmo», spiega Masieri, che ha poi affidato la messinscen­a alla compagnia Namastè. Ora tutto è pronto, e per l’ultimo dell’anno il teatro di Piazza Savonarola alzerà il sipario su Arriva il Gratta (dalle 21.30). Lo spettacolo sarà replicato il 6, alla presenza dei discendent­i del Gratta, e poi il 7 e l’ 8 gennaio.

De Rosa si è immaginato Evaristo Caroli, in arte Gratta, la sera del suo ultimo spettacolo. «Negli ultimi tempi, la tv aveva iniziato a convivere col circo, e gli artisti aspettavan­o che finisse Lascia o raddoppia per andare in scena. Io mi sono immaginato il Caroli dietro le quinte, in attesa di iniziare lo spettacolo, che ripensa alla sua impresa». Sarà quindi un lungo flashback a riportare in vita gli anni d’oro della compagnia. Partito dalla Bovisa, il Gratta nasceva da una famiglia di circensi, e si era sposato con un’altra figlia d’arte: la cavalleriz­za Sara Pellegrini. Insieme avevano viaggiato, stabilendo­si prima in Veneto, per poi cercare la pace oltre la linea Gotica e giungere a Firenze. Qui, avrebbero coinvolto presto i loro sei figli — tre maschi e tre femmine — all’interno degli spettacoli. «Era un circo più sovietico che americano: non c’erano animali, solo cani che andavano in bicicletta. Si basava sulle scene di contorsion­ismo, di acrobazia e di comicità».

Ecco allora numeri classici al trapezio o agli anelli, ma anche scene di giocoleria, e poi pericolosi salti che un giorno mandarono al pronto soccorso Giancarlo Caroli, uno dei figli di Evaristo. «Ogni spettacolo si apriva con una farsa, e molte di queste erano estremamen­te raffinate. Ad esempio, c’era un americano che parlando col Gratta diceva “dollars”, ma lui fingeva di capire “dolors”, creando un gioco verbale sottile e profondo». Molti ricordano «Il sepolto vivo», il numero sempre affidato a Nello Groppi, sotterrato con una cordicella in mano, che avrebbe dovuto tirare in caso di bisogno. Ovviamente non succedeva mai. C’era poi il «Barbiere di Siviglia», uno shampoo a base di uovo che veniva proposto a un malcapitat­o, poi allietato con schiuma in viso e un secchio testa. E fra gag e acrobazie, il pubblico maschile ammirava anche le gambe di Graziella, Marisa e Oriella, le tre figlie d’arte, un po’ troppo scoperte per i gusti del tempo.

Per promuovere i loro spettacoli, gli artisti andavano spesso in giro ad esibirsi. «Io li vidi in via dei Macci e ne fui profondame­nte colpito — dice De Rosa — una strada molto frequentat­a che di colpo si trasformav­a in palcosceni­co». A due passi da lì, in un angolo di piazza dei Ciompi, oggi sorge il «Giardino del Gratta», con tanto di insegna per ricordare l’artista. Poco più in giù, dove oggi si trovano le Poste nuove, c’era uno degli spazi dove si esibiva il circo: le Rovine, un Luna Par, con giostre e bancarelle. Ma regolarmen­te gli artisti spostavano il loro tendone in altri quartieri. «Per questo oggi molti ricordano il Gratta al Campo di Marte, dove rimaneva anche tre mesi, altri in piazza Santo Spirito, in piazza Tasso o magari all’Isolotto».

Ma la magia era destinata a finire. «Inizialmen­te i circensi si rivolgevan­o a un pubblico vergine, non ancora assuefatto al cinema e alla tv. Gli spettatori reagivano con grande ingenuità e si può dire che Firenze e questo circo siano cresciuti insieme. Poi il pubblico è cambiato radicalmen­te, ma con una modalità televisiva, non teatrale. E mentre la città rinasceva, il Gratta smise di fare l’attore». Così si è conclusa questa storia. Evaristo Caroli è ripartito insieme alla moglie per seguire il figlio Sergio a Porto San Giorgio e lavorare alle giostre, è morto nel 1989. Ma la stagione in città del Gratta ha lasciato vivi ricordi in molti ex bambini fiorentini. «Un giorno rubai una liquirizia al banchino del Gratta — racconta ancora Masieri — poi gli diedi dieci lire e gliene chiesi due. “Una l’hai già presa”, mi disse. Ma io negai, e lui lasciò stare. Per me fu una grande lezione, la ricordo ancora oggi».

 Il ricordo di De Rosa Dominavano scene acrobatich­e e gag Il tendone si spostava di quartiere in quartiere

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L’opera di Depero ispirata alla Giostra del Saracino
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Album In alto il circo e le bancarelle di via Pietrapian­a nel 1952; sopra Gratta e Gino e a destra il circo in piazza del Carmine (immagini dal libro edito da Polistampa)
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