Maggio, dentro o fuori
Il sovrintendente Bianchi: per trasferire i licenziati ad Ales c’è tempo fino al 31 gennaio
Lo scontro sui 28 licenziamenti al Maggio deve trovare una soluzione entro il 31 gennaio: «Dopo quella data, Ales, la società che ha garantito la loro riassunzione, procederà per trovare altro personale per gli Uffizi. Il rischio è non riallocare quelle 28 persone». Il sovrintendente Francesco Bianchi indica la nuova «deadline» per sciogliere lo scontro con i sindacati del Maggio. Lo fa parlando con le 3 commissioni consiliari (Lavoro, Controllo, Cultura) di Palazzo Vecchio, che lo hanno convocato per parlare di presente e futuro della fondazione. Anche se molte delle domande dei consiglieri sono sul passato, cioè su quella relazione del commissario nazionale delle fondazioni Gianluca Sole, riferita a dati 2015. Tutte cose stranote ma che pesano sul futuro.
Il debito da 62 milioni di euro «è la mia peggiore preoccupazione», spiega Bianchi. Ancora: senza la garanzia dei contributi della Regione — a rischio, ora sono 3,5 milioni, a causa dei tagli del governo — «potrei essere costretti ad aggiornare il piano di salvataggio con misure straordinarie». E dato che i costi del Maggio, per il 70%, sono di personale, c’è «una sola strada», licenziare. Non solo: «Non ho una lira per incentivare» l’uscita dei 28 dipendenti riassunti dopo la sentenza della Corte costituzionale, spiega il sovrintendente tartassato di domande dell’opposizione ( da Sinistra italiana a Silvia Noferi del M5s, passando da Jacopo Cellai e Mario Tenerani di Forza Italia, oltre a Cristina Scaletti). Ma anche dalla maggioranza.
«Non è possibile prevedere strategie diverse per i prezzi dei biglietti, anche per portare più gente al Maggio?», domanda Leonardo Bieber del Pd. «Prima devo fidelizzare, ora non è possibile tagliare i prezzi». I biglietti sono «raddoppiati rispetto al 2013, nel 2016 incassiamo 4,2 milioni», ma siamo lontani dagli obbiettivi di stabilità: «Occorre avere almeno il 30% di ricavi da bigliettazione» insiste Bianchi, ora siamo al 13%. Resta però il vero nodo: il debito.
«Non credo di poterlo stralciare di nuovo», come ha già fatto nel 2015 e 2016, cioè le banche che cancellano gran parte dei debiti per garantirsi almeno il 20% di rientro. Bianchi ipotizza «una operazione straordinaria. Ma come diceva Cuccia, rubare la cassa è peccato veniale, una indiscrezione è mortale». Sarà un «mega mutuo» per cancellare il debito pregresso? Possibile farlo con lo stato patrimoniale del Maggio? Solo se ci sono garanzie: l’unico ente che potrebbe darle sarebbe la Regione, più volte «punzecchiata» da Bianchi per il «taglio» del contributo nel 2016. I contributi privati «sono sopra le media nazionale», giura Bianchi, ma lontani dagli obiettivi. La gestione dell’Opera di Firenze costa 2,1 milioni, gli affitti a privati «finora gestiti in modo poco manageriale» sono fermi a 400 mila. Insomma un’Opera a perdere.
Resta lo scontro con i sindacati, pronti allo sciopero contro i 20 licenziamenti. «Ho l’obbligo del pareggio di bilancio, non posso mettere a repentaglio 300 persone per 28» insiste Bianchi. Va trovato un accordo. «Un accordo si trova in due» lo riprende Cecilia Pezza del Pd. «Io più di così non posso fare» ribatte Bianchi. I costi della dirigenza? «Saranno tagliati del 15%, il mio è tagliato dall’agosto scorso» ribatte Bianchi. Tra tutti i dirigenti, saranno tagliati 300 mila euro: noccioline, a fronte di 62 milioni di debiti.
Nel 2016 La gestione del teatro costa 2,1 milioni l’anno, dall’affitto ai privati solo 400 mila euro