Alle origini della moda a Firenze nella bottega artigiana di Foto Locchi
L’archivio Locchi: 5 milioni di immagini con la storia di Firenze Per Pitti, in 100 scatti, racconterà le origini della moda in città
Pensate alle foto d’epoca. Ai paesaggi urbani. Piazze e strade deserte, senza vita, fondali da Intervallo della tv in bianco e nero. Poi all’improvviso qualcuno decide di scattare proprio mentre una bicicletta fende l’immagine, o un bambino che corre la attraversa. Un gesto non posato e la foto prende vita. Questo, a Firenze da quasi cent’anni, è lo stile Foto Locchi.
Una storia, anzi cinque milioni di storie, tante sono le immagini negli archivi dello studio fotografico fiorentino che prenderanno vita, da martedì prossimo fino al 5 marzo nell’andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, nella prima mostra monografica dedicata all’atelier, pardon, alla «bottega» della pellicola organizzata insieme al ministero dei Beni culturali, Gallerie degli Uffizi, al Centro di Firenze per la moda e a Gruppo Editoriale.
Una mostra a tema e nel primo giorno di Pitti Immagine Uomo, in uno dei luoghi scelti l’anno scorso per il binomio fashion e arte, il tema non poteva essere che quello della moda, con cento scatti. Cento e non più di cento. Bella impresa scegliere in un mare così ampio solo una manciata di immagini che raccontino il legame fra Firenze e l’alta moda, nel segno di quel Giovan Battista Giorgini che, con savoir faire, un po’ di artigianato della miglior specie, un fondale da sogno chiamato Firenze, inventò le sfilate fiorentine che poi hanno portato al Pitti che conosciamo oggi e che si appresta ad aprire la sua novantunesima edizione. La tormentata scelta di chi ha selezionato le immagini in mostra è stata però solo l’ultimo passaggio di un lavoro iniziato mesi fa: «Mi sembrava impossibile — spiega Matteo Parigi Bini, editore di riviste come Firenze Magazine con il suo Gruppo Editoriale che una realtà come Foto Locchi nei suoi 90 anni di storia non avesse mai fatto una mostra monografica. Così, quando siamo stati coinvolti nell’ideazione di un evento per il prossimo Pitti, ho portato il direttore degli Uffizi Eike Schmidt a visitare il loro archivio. «Si è trattenuto a lungo — dice Erika Ghilardi, ultima erede e responsabile dell’archivio Locchi — era affascinato dalle nostre immagini. Un’attenzione che mi ha colpito». L’idea era di scegliere cento scatti che raccontassero la storia di quasi un secolo di Firenze attraverso la storia di Foto Locchi ma….
Ma Schmidt ha pensato di legare l’evento alla storia di Pitti Uomo, di fronte ai riflettori delle sfilate in Sala Bianca, ma anche dietro le quinte: dal bel mondo che sciamava in città, non fatto di soubrette o di divi passeggeri ma di eleganza ambulante con figure come quella di Edoardo VIII di Inghilterra che nel 1948 passeggia con le ghette in via Tor- nabuoni, a quel tessuto di botteghe artigiane, di maestri che con le loro man avevano fatto grande Firenze. «All’inizio avevo dei dubbi — sorride Erika — ho cercato di dissuaderlo. Foto Locchi è Firenze, tutta, dallo sport alla politica, alla cronaca di ogni giorno, alle star del cinema di Hollywood, agli scorci di un centro che non c’è più. Fermarsi alla moda mi sembrava riduttivo. Come se un genitore di un figlio dicesse solo che va bene a scuola. No, ci tiene a dire che è educato, intelligente, che gioca bene a calcio, che è corretto con i suoi amici e affezionato alla sua famiglia. Ma poi mi sono lasciata convincere e il risultato è una mostra che mi ha davvero coinvolta e soddisfatta».
Erika la metafora del figlio non la sceglie a caso: mentre parla quei pezzi di pellicola e carta fotografica prendono vita. Come se la sua famiglia fosse tutta nei cinque milioni di fotogrammi. D’altronde l’altra famiglia, in carne e ossa, è un pilastro di quella che lei vuole continuare a chiamare «bottega», quella della grande insegna di piazza della Repubblica prima, di via del Corso adesso. I grandi occhi ricordano quelli della mamma, Deanna Corcos Ghilardi, che racchiude l’anello precedente di una catena iniziata con un altro cognome nel 1924, quando Tullio Locchi — già famoso paesaggista e ritrattista anche di casa Savoia — apre il suo atelier. Due anni dopo muore in circostanze mai del tutto chiarite cadendo,
Erika Ghilardi Tutto merito di mio nonno, un uomo geniale: c’è lui dietro questo tesoro
macchina fotografica al collo, dalla torre di San Galgano. La vedova continua con i collaboratori del fondatore, i Moscato e i Corcos che, a loro volta, chiamano il nipote, Silvano Corcos, in piazza della Repubblica. «Mio nonno», sospira Erika. «Un uomo geniale, un artigiano con spirito imprenditoriale. C’è lui dietro il tesoro che ora mi trovo tra le mani. Nelle sue agende ordinate e meticolose iniziò a organizzare un archivio in una maniera semplice quanto sorprendentemente avanti con i tempi. Per ogni scatto un codice, ad esempio: 19341L-1. Le prime cifre erano quelle dell’anno, poi il numero del rullino, il tipo (L sta per Leica) e il numero del fotogramma». Intuitivo quanto perfetto per l’epoca digitale, quando Erika si è trovata a ordinare un mare di negativi con in mano una bussola preziosa. «Ad oggi abbiamo digitalizzato il 5 % dei cinque milioni di foto che abbiamo e che racchiudono, oltre all’archivio Locchi, quelli di FotoLevi e di Italfoto GF, fondate da collaboratori del nonno di cui poi abbiamo acquisito i lavori. Non mi chiedo se e quando sarà tutto digitalizzato — sorride — i numeri fanno tremare i polsi. Preferisco essere felice di quanto siamo già riusciti a fare, che non è poco. Sono un’imprenditrice sì, ma il mio approccio è conservativo: prima ho pensato a ciò che dovevamo salvare dai rischi del tempo e da lì siamo andati avanti».
Sullo schermo alle spalle del bancone scorrono fotogrammi che sembrano un assaggio di quello che gli archivi possono offrire. Dalla Callas al Comunale a un tram impazzito che finisce contro un palazzo con la folla intorno, alla Fiorentina dei due scudetti, alla tragedia dell’Alluvione. E poi la moda, sì, quella che a Palazzo Pitti racconterà un pezzetto di una storia che si dipana con quella di Firenze. Sei mesi di lavoro che hanno visto in prima linea appunto Erika e Matteo Parigi Bini: «La sezione cui sono più legato — spiega l’editore — è forse quella dell’artigianato. Perché ancora oggi è la nostra forza, ciò che porta qui le griffe a produrre. Penso a Montblanc, oltre che a nomi come Gucci e Ferragamo. Per questo se gli uffici di alcuni, come è capitato con Gucci per l’ufficio stile e Pucci più di recente, lasciano Firenze non vedo in questo un pericolo per la città. La nostra forza è nella manifattura di altissimo livello e in un Pitti che è unico al mondo e riesce con i suoi eventi a convogliare l’interesse del settore. Certo, la mancanza di infrastrutture non è più un tema rimandabile, ma Firenze è e resterà una capitale della moda».