IL GRANDUCA RIFORMISTA CHE GOVERNÒ I COMUNISTI
Era una giornata assolata del luglio del ’71 e anche i vigili apparati del Pci fiorentino si distraevano pensando alle vacanze, quando nelle stanze di via Alamanni giunse la notizia che gruppi extraparlamentari avevano occupato Palazzo Budini Gattai, sede della giunta regionale della Toscana. Le Regioni erano state elette l’anno precedente: in Toscana la maggioranza era di sinistra e la giunta presieduta dal socialista Lelio Lagorio.
Lagorio, già a quell’epoca definito il Granduca, era l’unico presidente di Regione del suo partito, antesignano di quelle posizioni autonome che oggi si definirebbero come riformiste e che all’epoca non piacevano più di tanto al Pci.
Malgrado questi possibili arrière-pensée, non ci fu esitazione: l’attacco andava direttamente al cuore della democrazia, delle istituzioni per le quali la sinistra (in maniera unitaria) si era battuta nel corso di tutto il dopoguerra e chi meglio della classe operaia poteva incaricarsi di difenderle?
Fu così che vennero chiamati a dimostrare il loro attaccamento ai valori della Repubblica i lavoratori della Galileo, la nostra fabbrica simbolo. Quando arrivai in Piazza Santissima Annunziata le prime tute blu della Galileo erano già dentro il Palazzo e invitavano energicamente i potop e chi altro a levarsi di torno (indimenticabili le facce esterrefatte dei sedicenti rivoluzionari che gli operai non sapevano neanche cosa fossero). Entrammo nella stanza della presidenza e spiegammo a Lagorio che, a quel tempo, conoscevo solo di vista che tutto era risolto.
Il clima di quel periodo era terribile, era lo stesso in cui gli stessi sedicenti rivoluzionari avevano tentato di mettere alla gogna Ernesto Ragionieri. Mi colpì la serenità di Lagorio e il modo in cui riconosceva il ruolo di difesa della democrazia che insieme i rappresentanti delle istituzioni e i partiti della sinistra, prima di tutto il Pci, avevano avuto in quella drammatica circostanza.
Lagorio che veniva da un’esperienza maturata nella lotta antifascista, nel Movimento federalista europeo e poi nell’Unità Popolare di Parri, di Calamandrei e di Codignola, per distaccarsene infine entrando nel Psi, rappresentava quell’area autonomista e riformista del socialismo italiano che avrebbe trovato infine in Craxi il rappresentante più diretto.
Il Granduca guardava con realismo alla politica italiana: era stato il primo sindaco (anche se per poco) che aveva segnato l’interruzione dell’esperienza di Giorgio La Pira. Indimenticabile la scena irrisoria che il Pci mise in atto contro la sua elezione in Palazzo Vecchio nel lontano 1965.
Eppure, pochi anni dopo, non poteva non venire in mente che quello che poco prima avevamo denigrato, era lo stesso che, insieme ad esponenti del Pci come, ad esempio, Elio Gabbuggiani, aveva costruito nel corso degli anni sessanta le basi per dare attuazione al dettato costituzionale che riguardava le Regioni.
Era lo stesso che aveva aperto la strada di un’esperienza unitaria a sinistra che si sarebbe mantenuta nel corso dei decenni successivi. Nel Pci erano soprattutto coloro che già avevano una visione riformista di governo a consentire il mantenimento e il rafforzamento di un’alleanza di sinistra che, nelle Regioni, rappresentava la sostanza di un’alternativa possibile anche sul piano nazionale.
Poi ci sarebbe stato il compromesso storico e tutto sarebbe andato diversamente. Lagorio avrebbe poi lasciato la Toscana per impegni nazionali, mantenendo però, da gran signore della politica come era, una distanza voluta dal craxismo senza se e senza ma, in nome di quell’autonomia culturale che lo distingueva e che avrebbe reso evidente nei tanti libri che scrisse.
Nel corso degli anni mi capitava di incontrarlo: mi veniva sempre in mente quel primo incontro a Palazzo Budini Gattai e l’idea di come, detto tutto il male che si vuole della cosiddetta Prima Repubblica, in quei tempi capitasse di toccare con mano l’esistenza di grandi partiti e di personalità rilevanti che li rappresentavano.
Rappresentò l’area autonomista e riformista del socialismo italiano Antifascista, passò dall’Unità Popolare di Parri, Calamandrei e Codignola