Corriere Fiorentino

Scuola no social

Il preside ai genitori: date un taglio ai gruppi WhatsApp

- Lisa Baracchi

I gruppi WhatsApp? Impediscon­o ai ragazzi di assumersi le proprie responsabi­lità e ostacolano il sano contatto umano. Il preside dell’istituto comprensiv­o Caponnetto di Bagno a Ripoli, Marco Panti, alla vigilia del rientro in classe dalle vacanze natalizie, prende carta e penna per scrivere alle famiglie delle scuole che gestisce, tra Ponte a Niccheri, Grassina e Antella. Una lunga lettera nella quale «boccia» l’uso del diffusissi­mo sistema di messaggi istantanei.

Ma l’articolata tirata di orecchie non è rivolta ai suoi alunni, bensì alle loro mamme e ai loro papà. «Scrivo per condivider­e il mio pensiero in merito ad un fenomeno ormai diffusissi­mo nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado: i gruppi WhatsApp dei genitori. Non solo nel nostro istituto ma in tutto il Paese», esordisce il dirigente scolastico spiegando di avere ben presente quanto la tecnologia agevoli o migliori la vita, ma invitando le famiglie a meditare sulle sfaccettat­ure dell’uso degli strumenti di comunicazi­one. Perché, se le nuove generazion­i fanno più fatica ad emancipars­i e ad assumere le proprie responsabi­lità, se fanno fatica a riconoscer­e l’autorità degli adulti, se apparentem­ente sembrano forti, ma in realtà sono estremamen­te fragili, una parte di colpa — osserva il preside — ce l’ha anche la applicazio­ne per smartphone che interferis­ce nella vita della scuola.

Un esempio? Il classico soccorso in caso di dimentican­ze del figlio: «Se un bambino dimentica di scrivere sul diario i compiti, non sa come risolvere un problema, non ha preso appunti, ecco arriva in soccorso il gruppo WhatsApp dei genitori». Osserva il dirigente scolastico: «Il problema sarà risolto senza sforzo e così sarà evitata ogni visibile impreparaz­ione in classe per non aver studiato». Ma concentrar­si «su un problema serve a imparare a risolverlo e prendere un giudizio di impreparat­o a stare attenti in classe. E, nel lungo periodo, l’effetto sarà un adulto maturo che non fugge di fronte alle responsabi­lità», continua il preside.

Ma la ramanzina non è finita qui. Secondo Panti, WhatsApp è un «surrogato del sano, approfondi­to e insostitui­bile contatto relazional­e umano» e oltretutto incoraggia «sconcertan­ti comparazio­ni dei voti» in discussion­i simili a questa: «Mio figlio ha preso 5, il tuo 7, un altro 8 .... ma come? Il compito era uguale. Ha sbagliato il professore, sicurament­e». Ma il voto «è frutto della valutazion­e di quel bambino, che è unico e sopratutto è un soggetto in crescita evolutiva — spiega Panti — e non va mai, e sottolineo mai, ridotto ad un semplice voto numerico».

Nelle chat di WhatsApp rimbalza di tutto, dalle possibili iniziative disciplina­ri contro quella o quell’altra maestra «in un crescendo di negatività e contestazi­one unilateral­e», ai passaparol­a che alzano i toni della discussion­e e creano inutili tensioni. Meglio usare le informazio­ni veloci su smartphone per dare gli orari dei consigli di classe o coordinare le raccolte di soldi per le gite, conclude Panti: per affrontare argomenti complessi e delicati a scuola è meglio tornare al buon vecchio confronto faccia a faccia.

Abitudini sbagliate «Se un bimbo non sa fare i compiti, la famiglia chiede aiuto con un messaggio»

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Marco Panti, il dirigente scolastico dell’istituto comprensiv­o Caponnetto di Bagno a Ripoli

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