La pizzeria falliva sempre, quattro arresti
In carcere due commercialisti, ai domiciliari gli amministratori di «Funiculì»
Da anni sforna pizze e rinomati coccoli a fiorentini e turisti. Ma dietro quella parvenza di macchina perfetta, la pizzeria Funiculì è passata di mano a tre società, finite negli anni in bancarotta per debiti maturati con dipendenti e l’erario per oltre 800 mila euro.
Un crac dietro l’altro prima la Euronova, poi la Magi e infine la Terna. A provocarne il dissesto, secondo la procura fiorentina, due commercialisti e due imprenditori che avrebbero trasferito il patrimonio aziendale da una società all’altra per eludere il fisco ed evitare il versamento di contributi previdenziali a pizzaioli e camerieri. In carcere sono così finiti, in esecuzione di un’ordinanza firmata dal gip Paola Belsito, i commercialisti fiorentini Gianni e Paolo Romani mentre ai domiciliari Marco D’Aguì e Alessandro Lascialfari. L’inchiesta è partita nel 2012 con la denuncia di un pizzaiolo: da mesi non riceveva lo stipendio né i contributi. Puntava il dito sulla gestione disinvolta. Le indagini hanno confermato i sospetti.
La pizzeria Funiculì tra il 2014 e il 2016, secondo il pm Christine von Borries, è stata defraudata dei beni tra una gestione e l’altra. In tre anni, è passata di mano dalla società Euronova alla Magi e infine alla Terna. Registi di queste operazioni, per l’accusa, i due commercialisti mentre ad amministrare erano D’Aguì e Lascialfari. Il meccanismo. Quando una società era in ros- so, secondo gli inquirenti, i quattro indagati dimenticavano tasse e contributi e onoravano solo i debiti con i fornitori e i dipendenti così da indurli a continuare l’attività con la società che si sarebbe succeduta nella gestione della pizzeria. Bastava, secondo l’accusa, modificare la ragione sociale e integrare la compagine dei soci e il gioco era fatto.
Per il gip emerge dalle indagini «la spregiudicatezza degli indagati, la loro estrema capacità di sfruttare la condizione di difficoltà dei dipendenti che avevano bisogno di lavorare per vivere salvo poi non pagar loro ne i contributi né spesso neppure le retribuzioni».