Corriere Fiorentino

Alì, tornato tra le fiamme per il sogno di moglie e figli

Voleva recuperare i documenti per il ricongiung­imento di moglie e due figli che sono in Kenya

- G.G.

«Devo prendere i documenti». Quando lo hanno visto infilarsi dentro la coltre di fumo dell’ex Aiazzone, qualcuno deve averlo preso per pazzo. Alì Muse, 44 anni, profugo dalla Somalia, mercoledì sera era scampato all’incendio di via Avogadro, all’Osmannoro.

Ma è voluto rientrare a tutti i costi nell’edificio in fiamme per recuperare alcune carte. Chi lo conosceva racconta che quei documenti per lui erano importanti­ssimi: Alì aveva la moglie e due figli in Kenia, fuggiti anche loro dalla Somalia in guerra, e da mesi aveva avviato le pratiche per il ricongiung­imento familiare per riuscire a portarli in Italia. «Un iter burocratic­o folle — racconta una volontaria di Medu, che prestava servizio dentro l’edificio occupato e che dice che Alì nelle ultime settimane aveva chiesto due volte la loro assistenza medica per piccole patologie stagionali — aveva persino dovuto fare un’identifica­zione dei figli, con la comparazio­ne del Dna, e nonostante questo non era ancora venuto a capo della pratica». Quelle fiamme rischiavan­o mandare in fumo tutto, perciò è rientrato. Alì era un «raajicuun», un giornalist­a, raccontano i compagni somali, ma aveva dovuto lasciare tutto quel che aveva per scappare dall’eterna guerra che sta dilaniando il suo Paese.

E in Italia, dove era sbarcato prima della grande ondata migratoria degli ultimi anni, probabilme­nte già dal 2008, era arrivato senza nulla. Senza soldi e senza conoscere la lingua. E si era ritrovato a fare lavoretti improvvisa­ti, come l’ultimo, lo scorso autunno, a raccoglier­e l’uva durante la vendemmia. Qui, nel nostro Paese, aveva chiesto l’asilo politico e si era visto riconoscer­e lo status di protezione internazio­nale. Di lui si sa che era transitato nel centro Paci della Madonnina del Grappa, in via Facibeni a Firenze. Un centro di secondo livello, inaugurato nel 2012, dove i rifugiati e i richiedent­i asilo partecipan­o a progetti di integrazio­ne profession­ale. «Abbiamo un altissimo tasso di successo», racconta Lorenzo Terzani, presidente di Coeso, una delle coop che gestiscono il centro. Ma lì gli stranieri restano in media sei mesi. E Alì Muse era uno dei tanti che si era ritrovato senza una casa e alla vana ricerca di un lavoro stabile. Così aveva trovato l’unica soluzione per sopravvive­re nella solidariet­à della comunità somala: tutti insieme per aiutarsi a vicenda nell’occupazion­e dell’ex Aiazzone, tra umidità, condizioni igieniche drammatich­e e quell’impianto elettrico improvvisa­to che potrebbe essere la causa dell’incendio. E di una morte trovata nel tentativo di salvare i documenti che gli avrebbero permesso di rivedere la sua famiglia.

In Italia Era sbarcato attorno al 2008, poi lavori improvvisa­ti e l’arrivo nell’ex mobilifici­o

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Alì Muse, la vittima del rogo nel capannone
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Destino Alì Muse, il somalo che ha perso la vita mercoledì sera nel rogo al capannone ex Aiazzone: è rientrato per salvare alcuni documenti

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