Monaci cercasi
Sant’Antimo, via dall’Abbazia anche i due olivetani
L’abbazia di Sant’Antimo si staglia maestosa in una valle circondata da alberi d’ulivo e interminabili filari di vigne. La sagrestia, i capitelli, le antiche tribune, i pilastri e il fantastico bestiario scolpito sulla facciata, mostrano una sapienza architettonica con pochi termini di paragone, in grado di condensare tante epoche in una sola costruzione. Arte e bellezza. Che però rischiano di restare senza custodi. Perché i due monaci che adesso reggono l’abbazia presto se ne andranno e non c’è ancora una nuova comunità pronta a sostituirli.
Il caso va avanti dal maggio del 2015, quando, come un fulmine a ciel sereno, durante una messa arrivò l’annuncio: «Carissimi amici, prima che lo veniate a sapere da altri volevo dirvi che la nostra comunità si sposta all’abbaye de Saint Michel de Frigolet: succederà entro la fine dell’anno». Con queste parole padre Dominique congedava l’Ordine Premostratense dai fedeli di Sant’Antimo e lasciava i fedeli incerti e sbigottiti, dopo un rapporto «di amicizia e fratellanza» durato trentasei anni e terminato «per ordine dall’alto». Al loro posto, un anno fa, sono arrivati padre Franco e padre Bonifacio, dell’ordine degli Olivetani. Di loro soltanto uno può celebrare la messa; mentre l’altro, spesso, si trova lontano dall’abbazia per finire gli studi.
«In due non si può reggere a lungo — spiega oggi padre Franco — infatti si tratta di una situazione transitoria. Abbiamo dato una nostra impostazione alla messa, ma da soli il canto gregoriano non si può fare; anche perché, oltre a essere l’unico sacerdote, sono stonatissimo (ride, ndr); e il confratello si reca tutti i giorni a Monte Oliveto per studiare». I due monaci, dopo appena un anno di gestione, a breve dovranno anche loro abbandonare l’abbazia per una norma che impone alle piccole comunità di trasferirsi.
A Castelnuovo dell’Abate, dove si trova il monastero, tutti aspettano l’arrivo di nuovi religiosi. Come Donatella, dell’osteria Bassomondo: «Ci chiamano spesso al telefono — racconta — per chiedere se ci sono ancora i canti gregoriani. A malincuore rispondiamo “no”. Spero che arrivi una comunità viva come quella che c’era prima». C’è anche chi teme una riconversione della struttura da luogo di fede a museo per turisti: «Di questo passo — spiega Annamaria— si rischia la chiusura». A gettare acqua sul fuoco ci pensa il presidente degli Amici di Sant’Antimo, Raffaella Lambardi: «Di chiusura non se ne parla — dice con tono perentorio — con la Curia di Siena stiamo lavorando a una soluzione ottimale e definitiva». Proprio la Curia, insieme con i monaci di Monte Oliveto, e ai dicasteri di Roma, è alla ricerca di una comunità disposta a insediarsi a Sant’Antimo.
«Capisco le lamentele dei fedeli — spiega monsignor Giovanni Soldati dell’Arcidiocesi di Siena — stiamo studiando una soluzione, ma non è affatto semplice. Siamo in contattato con diverse comunità. Il problema principale riguarda la diminuzione delle vocazioni, che si traduce in mancanza di personale e nella chiusura degli Ordini. Rispetto a Cina, Corea del sud, Filippine, India o Giappone, dove il cristianesimo è in costante espansione, in Italia, e in Occidente, assistiamo a una continua mancanza di vocazioni, che significa anche carenza di personale. Per l’abbazia di Sant’Antimo l’ideale sarebbe trovare dalle quattro alle sette persone in grado di gestirla, e un Ordine proveniente dall’Italia, sia per la tradizione del luogo, sia per il tipo di edificio che richiama la conduzione monastica. Alcuni Ordini, individuati con l’aiuto dei dicasteri di Roma, ci stanno pensando, ma al momento non esistono garanzie. Con i due frati — conclude l’arcivescovo — stiamo concordando una linea di transizione. Ci crediamo. La situazione però rimane complicata e non si risolve da oggi a domani».
La speranza di tutti è dunque un nuovo corso e una rinascita come è nel dna della storia secolare di questa abbazia. Il progetto, ispirato a un’abbazia benedettina nell’Alta Marna francese, fu approvato dopo l’anno mille. Prima e dopo si erano succeduti numerosi Ordini sacerdotali. Nei secoli il luogo è stato teatro di guerre e spartizioni; fino all’abbandono e alla decadenza di fine dell’Ottocento, quando fu abitato da un mezzadro che alloggiava nell’appartamento del vescovo, usava la cripta carolingia come rimessa, e il chiostro come stalla. La rinascita risale agli anni settanta del Novecento, con il vescovo di Siena che coinvolse un gruppo di giovani religiosi nella ricostruzione della comunità monastica, e in poco tempo Sant’Antimo era tornato a splendere, grazie anche ai canti gregoriani che negli anni hanno trasformato le messe in eventi unici e affollati.
All’ultimo atto Siamo troppo pochi: non potevamo reggere a lungo. La fine dei canti? Io sono stonato...