Un morto nel rogo del capannone E i somali occupano Palazzo Strozzi
In corteo a Firenze: «Vittima dello Stato». Poi la resa: per due notti nel palazzetto a Sesto
Le fiamme partite forse da una stufetta elettrica o da un braciere, poi un muro di fumo che si alza nel capannone dormitorio. L’incendio che poteva essere una strage è divampato poco prima delle 22 nella fabbrica abbandonata. Dentro quel cubo occupato abusivamente da due anni, che un tempo ospitava il mobilificio Aiazzone, in via Avogadro, a pochi passi dall’Ikea e dai capannoni dove si parla solo cinese, erano stipati un centinaio di migranti. Quasi tutti rifugiati di origine somala, eritrea ed etiope. Alle prime fiamme scappano fuori, al gelo della notte sottozero, e molti riescono anche a portare in salvo le valigie. Quando i vigili del fuoco entrano nel capannone trovano per terra un somalo. È intossicato e privo di sensi. Lo affidano ai medici del 118 che per più di un’ora provano a rianimarlo. Lo portano all’ospedale di Careggi ma per Alì Muse, 44 anni, non c’è più niente da fare. Il lavoro dei soccorritori va avanti per ore con il terrore che dentro quei loculi divorati dalle fiamme, tra le pareti in cartongesso, i lucchetti per delimitare i confini, le tende, le coperte, le cucine da campo e i materassi potessero spuntare altri morti. Fortunatamente non è andata così. Alle 2 i vigili del fuoco riescono a domare l’incendio e a mettere in sicurezza il capannone mentre fuori arrivano coperte e bevande. Arriva il sindaco di Sesto Lorenzo Falchi, arriva Lorenzo Bargellini del Movimento lotta per la casa che inizia a contrattare una sistemazione per i sopravvissuti. Volano parole pesanti: «Vergogna, ci costringete a vivere in queste condizioni», urla qualcuno. Carabinieri, poliziotti e vigili cercano di placare gli animi. Il sindaco propone una palestra per trascorrere quel che resta della notte ma dopo una breve consultazione la proposta viene respinta al mittente. «Non vogliamo una soluzione per una notte e via, vogliamo una casa».
È solo l’inizio di un braccio di ferro che andrà avanti per quasi ventiquattr’ore. La protezione civile monta le tende nella piazza davanti all’Ikea. Arrivano panettoni e bevande calde ma la sistemazione defi- nitiva non arriva. Si decide così di andare a protestare sotto la Prefettura a Firenze, in via Cavour. Il prefetto non li riceve ma convoca un comitato per l’ordine e la sicurezza per il pomeriggio. Intorno alle 13 si decide il blitz: occupare la mostra sull’emergenza profughi di Ai Weiwei a Palazzo Strozzi per poi accamparsi sulla gradinata, davanti alla porta chiusa, con lo striscione «Alì Muse è morto per colpa dello Stato». I turisti vengono fatti salire da un’entrata laterale mentre il sit in va avanti per tutto il pomeriggio. «Sono arrivati qui per il valore simbolico della mostra — dice Arturo Galansino, direttore della fondazione palazzo Strozzi — i manifestanti hanno visto nelle opere in mostra un grido per la loro protesta. Informeremo l’artista dell’accaduto. Se palazzo Strozzi può essere un luogo di dialogo ben venga, senza però precludere la visibilità della mostra».
Sono quasi le 19 quando, al termine della riunione in Prefettura, arriva il sindaco Falchi a Palazzo Strozzi con la soluzione in tasca: due giorni al palazzetto dello sport, poi i comuni metropolitani troveranno la soluzione definitiva. Sfiniti dal freddo e dalla stanchezza i migranti accettano. E poco prima delle 20 salgono su un pullman Ataf con destinazione Sesto.
Sarà adesso l’inchiesta della Procura a fare luce su quanto accaduto. Su quel capannone occupato abusivamente grava un decreto di sequestro preventivo di due anni fa dopo la denuncia della società proprietaria ma per motivi di ordine pubblico non è stato mai eseguito. Il pm Tommaso Coletta intanto ha messo i sigilli al capannone e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Nel dicembre 2009 gli stessi somali furono coinvolti nell’incendio della ex scuola di viale Guidoni ma fortunatamente non ci furono conseguenze. Poco dopo ci fu l’occupazione e poi lo sgombero dell’edificio di viale Slataper. Nel dicembre 2014 nel mirino finisce l’ex fabbrica Aiazzone. Un anno fa la prefettura aveva deciso lo sgombero ma finì con le barricate: sassaiola contro le forze dell’ordine e gente sdraiata in strada per impedire che venisse staccata la corrente.
Sequestro in sospeso La proprietà dello stabile aveva chiesto alla Procura i sigilli, ma lo sgombero era fallito