«LE PROVINCE? UNA PERVERSIONE»
Caro direttore, le vicende elettorali delle nuove Province sono destinate a essere archiviate nella storia istituzionale italiana sotto la voce «perversioni». Grazie al voto ponderato di secondo livello (votano solo sindaci e consiglieri comunali e il peso di ogni singolo voto è stabilito sulla base dei residenti nel comune) i risultati, con buona approssimazione, si possono conoscere già prima dello scrutinio. Le neo Province, sfuggendo a ogni logica intuitiva, votano il presidente ogni quattro anni e il consiglio ogni due. Il personale è in perenne mobilità interna tra diversi enti, e molte province si trovano in gravi difficoltà di bilancio, alcune addirittura in pre-dissesto e altre già a gambe all’aria. Non sono stati individuati precisi confini per le competenze, differenti da regione a regione. Se a questo caos ci aggiungessimo pure le dieci Città Metropolitane, il giochino dell’inutilità funzionale sarebbe bell’e che pronto. Invece di cantare vittoria e gonfiarsi il petto, le forze politiche potrebbero ora chiedere con forza la riforma della legge 56 del 2014. Due sole le strade possibili: o sono abolite del tutto con un provvedimento ad hoc di modifica costituzionale (era sì contenuto nel referendum del 4 dicembre, ma ormai è acqua passata) oppure si torna alla funzionalità precedente, reintegrando la vecchia legge elettorale. Così come sono state riformate dal ministro Delrio (governo Letta) le Province non servono a niente e a nessuno: al territorio di competenza, ai cittadini, al sistema dei servizi erogati, alla funzione di coesione territoriale tra enti. Servono solo ai partiti per fare un comunicato stampa dopo i risultati e spartirsi ulteriori (ma inutili) cadreghe. Una cosa penosa, ahimè tutta italiana. E me ne dolgo: anche per il motivo che per dieci anni ho fatto parte del Consiglio provinciale di Firenze.