Corriere Fiorentino

Profughi fantasma, la mappa

Firenze: 18 le occupazion­i come quella del rogo, anche da 26 anni. Il caso dell’ex Meyer

- di Eugenio Tassini

AI WEIWEI, CHE PECCATO QUELLA PORTA CHIUSA

Igommoni tirati a lucido, rossi fiammanti, fuori dalle finestre con le bifore, e i migranti a sedere per ore sulle scale, fuori dalla porta di Palazzo Strozzi chiusa in tutta fretta.

Le lettere firmate con nome, cognome e città vanno inviate a «Lungarno», Corriere Fiorentino lungarno delle Grazie 22 50122, Firenze Fax 0552482510

È il finale perfetto per la mostra di Ai Weiwei. Eccola qui, svelata finalmente, l’arte politica, quella di denuncia, che sta con gli immigrati, con il loro dolore, le loro sofferenze, il cammino di morte e di povertà che porta migliaia di uomini, donne e bambini ad arrivare qui, in Europa, e a trovare dormitori fatiscenti (se si è fortunati) ma dove si può morire per un corto circuito. La storia la conoscono tutti. Ai Weiwei è un artista cinese che da tempo sta dedicando il suo lavoro al tema dell’immigrazio­ne. Sui bus dell’Ataf la pubblicità lo definisce «l’artista contempora­neo più importante del mondo». Ha passato mesi nelle isole greche dove avvenivano gli sbarchi a far fotografie e filmati degli immigrati. Ha fatto portare un pianoforte nella tendopoli di Idomeni, al confine fra la Grecia e la Macedonia, che una giovane siriana si è messa a suonare. «Vogliamo offrire un’immagine diversa di loro, che trasmetta possibilit­à, arte e immaginazi­one». Si è fatto ritrarre steso sulla spiaggia di Lesbo, nello stesso punto e nella stessa posizione del piccolo Alyan al-Kurdi, la cui foto aveva sconvolto tutto il mondo, e anche la Merkel. Poi ha preso 14 mila salvagenti abbandonat­i a Lesbo e ci ha rivestito le colonne della facciata della la Konzerthau­s di Berlino. «L’obiettivo è mobilitare la comunità internazio­nale contro il crimine che si perpetua ogni giorni da parte dei trafficati di esseri umani». Poi un giorno, giovedì, gli essere umani salgono le belle scale di Palazzo Strozzi e la porta viene chiusa di corsa. Legalità e sicurezza, certamente. E anche preoccupaz­ione per i visitatori, per carità, visto che la mostra di Ai Weiwei non è gratis e costa molti soldi (oltre a farne fare). Insomma è sempre la vecchia storia del party di Lenny, sì quello che nella Manhattan ricca e politicame­nte corretta organizzò il direttore d’orchestra Leonard Bernstein per le Pantere Nere e che perfidamen­te raccontò sul New York Magazine Tom Wolfe. C’è anche una quasi coincidenz­a. Quel party avvenne nel gennaio del 1970, giusto 47 anni fa. Ai radical chic (la definizion­e fu coniata proprio da Wolfe in quell’articolo) i poveri piacciono, sinceramen­te. «Era fuor di dubbio che il primo impulso (...) fosse sincero. Ma, come accade per molti sforzi umani che si concentran­o su un ideale, sembrava che il pensiero avanzasse su una sorta di doppia pista. Prima pista: beh, è chiaro che si ha un sincero interesse per i poveri e bisognosi e una sincera rabbia rispetto alla discrimina­zione. Il cuore si ribella — e lo fa spontaneam­ente! — quando sente come la Polizia tratta le Panthers, trascinand­o un epilettico come Lee Berry giù dal letto dell’ospedale per gettarlo in galera». Poi aggiungeva: però «bisogna avere un posto dove andare il fine settimana, in campagna o al mare, di preferenza tutto l’anno, ma necessaria­mente da metà maggio a metà settembre. È complicato far capire a chi è fuori dall’ambiente come simili bisogni apparentem­ente volgari siano assoluti. Li si sente nel Sistema Solare». Per questo i radical chic scelgono i loro poveri da amare, generalmen­te che stanno lontano e non te li ritrovi fra i piedi. E odiano la piccola borghesia, il proletaria­to, quelli che abitano le periferie e invadono il centro il sabato. Anche per questo bisogna andar via, il sabato, per non vederli, non incontrarl­i, non mescolarsi a loro. Anche il mondo del maestro Ai Weiwei non è poi così diverso da quello di Leonard Bernstein. Va bene incontrare i profughi sull’isola di Lesbo, ma a Palazzo Strozzi no, non scherziamo. Basta un comunicato vergato il giorno dopo per dire che il maestro chiede un intervento dell’Europa per cancellare la vergogna. «Non è questo il luogo», come dice il direttore Arturo Galansino. Magari poi entrano e rompono qualcosa. Oddio, anche Ai Weiwei in fondo è diventato famoso per aver rotto un antico vaso cinese, ma quello era un gesto artistico. Gli esseri umani, per dirla come Ai Weiwei, erano capaci di dormire lì, di rimanerci giorni, fra un gommone e un salvagente. E non è mica arte questa. Però, peccato non avere aperto quella porta. Avremmo potuto avere il dubbio che là dentro ci fosse qualcosa di vero. Ma si può fare un tweet, se gli esseri umani vanno a dormire da un’altra parte. Quello non si nega a nessuno.

Come il party di Lenny per le Pantere nere a Manhattan: i poveri? Meglio sceglierse­li...

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 ??  ?? New York 1970 Il direttore d’orchestra e compositor­e Leonard Bernstein con sua moglie e Donald Cox, Black Panther
New York 1970 Il direttore d’orchestra e compositor­e Leonard Bernstein con sua moglie e Donald Cox, Black Panther

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