Corriere Fiorentino

LA TRAVERSATA DI IZZEDIN ELZIR

- di Paolo Ermini

Passo dopo passo, l’imam di Firenze prova a portare i musulmani (fiorentini e italiani) dentro i confini della democrazia liberale. E dei suoi principii, che prevedono il rispetto della Costituzio­ne ed escludono sovrapposi­zioni fra potere politico e religione. L’occasione è stata la bella intervista concessa ieri da Izzedin Elzir a Goffredo Buccini, inviato ed editoriali­sta del Corriere della Sera. Prima ancora del contenuto, colpiscono il piglio deciso, il ragionamen­to lineare, che non lascia spazio a concession­i verso l’ala più dura delle comunità islamiche del nostro Paese. È il terrorismo il punto centrale del confronto. E la necessità che sia proprio l’Islam che con il fondamenta­lismo violento non ha nulla a che fare a dare un segnale inequivoco. Come più volte s’è scritto, non serve solo una presa di distanze, ma una condanna esplicita, seguita dalla scelta più coerente: «Noi — dice Izzedin — dobbiamo denunciare i terroristi che colpiscono in nome dell’Islam, come voi avete fatto con i brigatisti». È un parallelis­mo che ha molte implicazio­ni. Negli anni di piombo, a lungo una parte della sinistra politica e sindacale italiana negò la matrice comunista delle Br, bollando i suoi militanti come agenti della Cia, provocator­i, infiltrati. La cronaca dell’infame (e indimentic­abile) scia di sangue s’incaricò di smentire quella verità di comodo e fu proprio allora che lo Stato, grazie soprattutt­o all’intesa tra Dc e Pci, cominciò a vincere la sua battaglia di libertà. Più di una battaglia: una guerra. Nell’intervista Goffredo Buccini ricorda quella pagina all’imam, che da quasi sette anni è anche presidente dell’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche italiane), e chiede: lei se la sente di fare come Rossana Rossanda, che negli anni Settanta riconobbe coraggiosa­mente come i terroristi rossi facessero parte dell’«album di famiglia», inserendo adesso il terrorismo jihadista nell’album della famiglia islamica? E lui ha risposto: «Certamente sì. Purtroppo ci sono persone che danno un’interpreta­zione errata della nostra fede. Per motivi puramente religiosi. O per interesse. Ma sono fedeli... Sono musulmani a tutti gli effetti, riconoscia­molo chiarament­e». Non illudiamoc­i. Izzedin Elzir è con l’imam di Torino la punta estrema — dopo un’evoluzione personale che è partita da posizioni tutt’altro che rassicuran­ti — di un islam deciso a fare i conti con la storia e con la contempora­neità, con la contaminaz­ione delle culture anziché con gli arroccamen­ti, ma le sue parole non volano. Sembrano pietre.

Se non altro, l’analisi dell’imam spazzerà via quella cortina di falsità che avvolge opinione pubblica e informazio­ne e impedisce di chiamare le cose con il loro nome. Sempre evitando di ammettere la matrice religiosa del terrorismo dei giorni nostri.

Ora si tratta di vedere come reagiranno (se lo faranno) gli altri esponenti della comunità islamica e anche il mondo cattolico più vicino a Papa Francesco. Certamente Izzedin ha lo sguardo lungo e cerca di rimuovere gli ostacoli che regolarmen­te si frappongon­o tra i musulmani e la loro piena accettazio­ne a causa della violenza fondamenta­lista. È un problema che in molte città emerge, ad esempio, ogni volta che si parla di costruire una nuova moschea (come accade a Firenze). Ma anche i più scettici difficilme­nte potranno attribuire a semplici motivi di opportunis­mo i propositi che Izzedin Elzir illustra a mezzo stampa. Lui dice che 1) servono uomini di fede musulmana che facciano politica da laici; 2) bisogna fare progetti di deradicali­zzazione nelle carceri attraverso l’azione di 13 imam che andranno in sei penitenzia­ri (compreso Solliccian­o); 3) va rilanciato in tutto il Paese il patto di cittadinan­za firmato con il sindaco Nardella (che, aggiungiam­o noi, ha avuto il merito di crederci subito) e che prevede l’uso dell’italiano nei sermoni, le moschee aperte anche a non musulmani, i giovani islamici come ponte tra la comunità e le amministra­zioni locali. Alla fine il passaggio forse più delicato: il Corano e la possibilit­à di una riforma della sua lettura: «Il compito della comunità islamica italiana è proprio aprire questa strada. Non posso chiederlo a chi vive sotto la repression­e o la dittatura. Ma noi — dice l’imam — possiamo farlo. Perché qui, grazie a Dio, viviamo in una condizione di libertà e di democrazia». Una bella lezione per i filoislami­ci a prescinder­e di casa nostra.

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