LA TRAVERSATA DI IZZEDIN ELZIR
Passo dopo passo, l’imam di Firenze prova a portare i musulmani (fiorentini e italiani) dentro i confini della democrazia liberale. E dei suoi principii, che prevedono il rispetto della Costituzione ed escludono sovrapposizioni fra potere politico e religione. L’occasione è stata la bella intervista concessa ieri da Izzedin Elzir a Goffredo Buccini, inviato ed editorialista del Corriere della Sera. Prima ancora del contenuto, colpiscono il piglio deciso, il ragionamento lineare, che non lascia spazio a concessioni verso l’ala più dura delle comunità islamiche del nostro Paese. È il terrorismo il punto centrale del confronto. E la necessità che sia proprio l’Islam che con il fondamentalismo violento non ha nulla a che fare a dare un segnale inequivoco. Come più volte s’è scritto, non serve solo una presa di distanze, ma una condanna esplicita, seguita dalla scelta più coerente: «Noi — dice Izzedin — dobbiamo denunciare i terroristi che colpiscono in nome dell’Islam, come voi avete fatto con i brigatisti». È un parallelismo che ha molte implicazioni. Negli anni di piombo, a lungo una parte della sinistra politica e sindacale italiana negò la matrice comunista delle Br, bollando i suoi militanti come agenti della Cia, provocatori, infiltrati. La cronaca dell’infame (e indimenticabile) scia di sangue s’incaricò di smentire quella verità di comodo e fu proprio allora che lo Stato, grazie soprattutto all’intesa tra Dc e Pci, cominciò a vincere la sua battaglia di libertà. Più di una battaglia: una guerra. Nell’intervista Goffredo Buccini ricorda quella pagina all’imam, che da quasi sette anni è anche presidente dell’Ucoii (l’Unione delle comunità islamiche italiane), e chiede: lei se la sente di fare come Rossana Rossanda, che negli anni Settanta riconobbe coraggiosamente come i terroristi rossi facessero parte dell’«album di famiglia», inserendo adesso il terrorismo jihadista nell’album della famiglia islamica? E lui ha risposto: «Certamente sì. Purtroppo ci sono persone che danno un’interpretazione errata della nostra fede. Per motivi puramente religiosi. O per interesse. Ma sono fedeli... Sono musulmani a tutti gli effetti, riconosciamolo chiaramente». Non illudiamoci. Izzedin Elzir è con l’imam di Torino la punta estrema — dopo un’evoluzione personale che è partita da posizioni tutt’altro che rassicuranti — di un islam deciso a fare i conti con la storia e con la contemporaneità, con la contaminazione delle culture anziché con gli arroccamenti, ma le sue parole non volano. Sembrano pietre.
Se non altro, l’analisi dell’imam spazzerà via quella cortina di falsità che avvolge opinione pubblica e informazione e impedisce di chiamare le cose con il loro nome. Sempre evitando di ammettere la matrice religiosa del terrorismo dei giorni nostri.
Ora si tratta di vedere come reagiranno (se lo faranno) gli altri esponenti della comunità islamica e anche il mondo cattolico più vicino a Papa Francesco. Certamente Izzedin ha lo sguardo lungo e cerca di rimuovere gli ostacoli che regolarmente si frappongono tra i musulmani e la loro piena accettazione a causa della violenza fondamentalista. È un problema che in molte città emerge, ad esempio, ogni volta che si parla di costruire una nuova moschea (come accade a Firenze). Ma anche i più scettici difficilmente potranno attribuire a semplici motivi di opportunismo i propositi che Izzedin Elzir illustra a mezzo stampa. Lui dice che 1) servono uomini di fede musulmana che facciano politica da laici; 2) bisogna fare progetti di deradicalizzazione nelle carceri attraverso l’azione di 13 imam che andranno in sei penitenziari (compreso Sollicciano); 3) va rilanciato in tutto il Paese il patto di cittadinanza firmato con il sindaco Nardella (che, aggiungiamo noi, ha avuto il merito di crederci subito) e che prevede l’uso dell’italiano nei sermoni, le moschee aperte anche a non musulmani, i giovani islamici come ponte tra la comunità e le amministrazioni locali. Alla fine il passaggio forse più delicato: il Corano e la possibilità di una riforma della sua lettura: «Il compito della comunità islamica italiana è proprio aprire questa strada. Non posso chiederlo a chi vive sotto la repressione o la dittatura. Ma noi — dice l’imam — possiamo farlo. Perché qui, grazie a Dio, viviamo in una condizione di libertà e di democrazia». Una bella lezione per i filoislamici a prescindere di casa nostra.