Corriere Fiorentino

La notte dei sopravviss­uti «Siamo tornati numeri»

- di Antonio Passanese

SESTO FIORENTINO Sulle brandine o sui gradoni del Palazzetto di Sesto. La prima doccia calda e un pasto offerto dai volontari. Eccola la prima notte passata dai somali sopravviss­uti al rogo dell’ex mobilifici­o all’Osmannoro.

SESTO FIORENTINO «Siamo da dieci anni a Firenze e occupazion­e dopo occupazion­e ora siamo diventati dei senza tetto». La prima notte al Palasport di Sesto sembra essere il momento della presa di coscienza del loro stato. Una soluzione provvisori­a, più sicura dell’ex mobilifici­o andato a fuoco dove è morto Alì, ma un altro colpo al senso di precarietà, all’incertezza di una prospettiv­a di vita dignitosa.

Fuori dal palazzetto, sono circa le 23 di giovedì sera, un gruppetto di somali racconta meglio di chiunque altro il paradosso dell’accoglienz­a che poi dimentica. «Ma come fate ad accoglierc­i tutti se poi non sapete dove metterci? Molti di noi sono regolari ma non sanno nemmeno l’italiano e ora siamo finiti qui a dormire sui gradoni». I cento profughi di via Avogadro arrivano in bus a Sesto dopo aver occupato per alcune ore Palazzo Strozzi, sotto i gommoni di Ai Weiwei, fasciati fino alla testa con coperte di fortuna. Si portano dietro un valigione pieno di indumenti e documenti che li accompagna da quando hanno messo piede in Italia. Ma nel rogo dell’Osmannoro c’è anche chi ha perso tutto: «Mi è rimasto solo quello che ho addosso — dice Farah — le fiamme mi hanno portato via ogni cosa». E mentre all’esterno del Palasport si discute e si ripercorro­no gli istanti precedenti e successivi al rogo, all’interno i volontari della Racchetta, della Croce Viola, dell’associazio­ne nazionale carabinier­i e della Misericord­ia si danno da fare per organizzar­e la nottata: come fossero parte di una catena di montaggio si caricano sulle spalle le brandine e le dispongono in cerchio. Nel frattempo tra i somali c’è chi si addormenta sulle gradinate, in attesa che tutto sia pronto, e chi occupa i bagni per darsi una ripulita: «Finalmente una bella sorpresa, un po’ di acqua calda — esclama con stupore Mohammed — erano mesi che non ne avevamo a disposizio­ne».

Gran parte dei somali è tornata ad essere un numero. Con i documenti andati in fumo era impossibil­e fare diversamen­te. I numeri servono per controllar­e chi entra e chi esce dal palazzetto dello sport e a usufruire della colazione, del pranzo e della cena: è la polizia municipale a controllar­e che non ci siano «infiltrati». Tutto procede senza intoppi. Cala il silenzio, anzi riecheggia­no i guaiti di un cane. Qualcuno fuma l’ultima sigaretta con un volontario a cui racconta le sue peripezie: prima il viaggio a piedi, dalla Somalia alla Libia, durato un paio di mesi e poi, una volta arrivato a Firenze la nuova transumanz­a da un’occupazion­e all’altra. Viale Guidoni, via Slataper, le Cascine, i capannoni abbandonat­i della Leopolda fino a Sesto.

«Quando un somalo arriva a Firenze — racconta Keiran — già sa che se vuole trovare un posto per dormire e un lavoro non deve rivolgersi alle associazio­ni o al Comune ma deve andare in via Palazzuolo, nei negozi e nei bar dei somali. È lì che ti dicono dove puoi essere ospitato e dove guadagnare qualche euro». Keiran ha 26 anni, è arrivato in Italia nel 2007 a bordo di un gommone: parla bene la nostra lingua e ha anche lavorato in una fabbrica grazie alla Borsa lavoro, «ma poi sono stato abbandonat­o». Era un bambino soldato e porta con se le cicatrici che gli ha lasciato un gruppo di guerriglie­ri di Al Shabaab: «Vorrei tornare in Somalia, dai miei genitori, ma se ci rimetto piede mi tagliano la gola». Lui è uno dei pochi somali di via Avogadro ad aver frequentat­o un corso di lingua: «Siamo appena una quindicina su cento. Ci danno lo status di rifugiati e poi ci abbandonan­o a noi stessi. Ho provato a spostarmi in Germania o in Scandinavi­a... mi hanno rimandato indietro».

Molti rifugiati di Sesto vivono di espedienti, di elemosine, («lavoriamo per i cinesi a 50 euro al mese o nei campi»), e mangiano nelle mense della Caritas: sono fantasmi, ma regolari. Come Alì che è morto per recuperare i documenti necessari al ricongiung­imento familiare con le figlie e la moglie in Kenya. Alì, a cui, prima dello spegniment­o della luce della grande camerata (al centro del palazzetto, dove di solito si gioca a basket o pallavolo) è stata dedicata una sura del Corano e una supplica: «Proteggici e, insieme al Profeta, dacci la forza per continuare a vivere...».

Accolti e poi abbandonat­i. Il lavoro e una casa? Gli unici a cui rivolgersi sono i bar o i negozi dei somali di via Palazzuolo

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I somali sulle brandine nel palazzetto di Sesto (foto Sestini)
 ??  ?? Sui gradoni Alcuni somali crollati dal sonno sui gradoni del palazzetto di Sesto a causa della stanchezza accumulata dopo il rogo a Sesto e l’occupazion­e di Palazzo Strozzi a Firenze
Sui gradoni Alcuni somali crollati dal sonno sui gradoni del palazzetto di Sesto a causa della stanchezza accumulata dopo il rogo a Sesto e l’occupazion­e di Palazzo Strozzi a Firenze
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 ??  ?? La sistemazio­ne delle brande nel palazzetto
La sistemazio­ne delle brande nel palazzetto
 ??  ?? L’arrivo al palazzetto dello sport di Sesto
L’arrivo al palazzetto dello sport di Sesto

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