Tombari: una svolta per Firenze
«Il tavolo con le istituzioni può diventare un laboratorio per il Paese. Al G7 potremo mostrare cosa sappiamo fare» Intervista con il presidente della Fondazione Cr: «A questa città serve un disegno»
«Cosa mi aspetto da questo tavolo? Una visione generale di Firenze e del suo futuro, che ora manca». Umberto Tombari, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, lancia la sua sfida. Gli incontri con Comune, Università e Camera di Commercio, spiega, possono tracciare il disegno della città di domani. «E il G7 della cultura è l’occasione per mostrare cosa sappiamo fare».
Umberto Tombari ci riceve nel suo ufficio di presidente della Fondazione Cr Firenze. Siamo in via Bufalini, la strada del nucleo storico della Cassa di Risparmio, a due passi dal Duomo. Ma c’è tanta città anche nei bellissimi quadri appesi alle pareti.
Presidente, partiamo proprio da Firenze e dal tavolo per Firenze, al quale la sua fondazione partecipa insieme con il Comune, l’Università e la Camera di Commercio. Quali sono gli obiettivi gli obiettivi del tavolo? E qual è il ruolo della Fondazione?
«Un tavolo, se vogliamo chiamarlo così, esisteva già: io ed il sindaco Dario Nardella, che siamo stati eletti quasi contemporaneamente, ci siamo visti regolarmente per scambiarci idee sulla città. Il tavolo rafforza questa abitudine. Stiamo lavorando per il G7 dei ministri della cultura, ma la questione vera, quello che tutti ci aspettiamo da questo tavolo, è una visione generale della città e del suo futuro, che oggi manca. Il G7 è un’occasione per far vedere cosa Firenze è in grado di fare. Quanto a noi, a questo tavolo possiamo contribuire con idee, prima che con finanziamenti. Sulla cultura abbiamo già in corso, autonomamente, progetti importanti». Ad esempio? «Il progetto per una fondazione privata a supporto dell’Opificio delle Pietre dure è molto avanti: c’è il via libera del ministero dei Beni culturali e noi abbiamo stanziato 3 milioni di euro, ma la fondazione sarà aperta anche ad altri soggetti internazionali no profit. Poi abbiamo dato la disponibilità ad acquisire una sede per ERhis, l’infrastruttura europea di ricerca per la scienza del patrimonio, la cui localizzazione sarà decisa dall’Ue nel 2019 e che anche Parigi e Berlino vorrebbero: noi stiamo pensando all’ex caserma Redi, in via Venezia, con un investimento di oltre 10 milioni di euro. Poi stiamo lavorando sul recupero della caserma Cavalli, in piazza del Cestello, che sarà un incubatore di star up».
Per qualcuno questo tavolo per Firenze assomiglierà a un super-potere…
«È tipico di Firenze: se siamo divisi non va bene, se siamo uniti neppure. Al tavolo ci sono quattro forze significative della città e se ne arriveranno altre bene: non è un tavolo chiuso. L’aspetto positivo è che da qualche mese la città è più coesa ed è impegnata a portare avanti questi progetti negli anni, a prescindere dai cambiamenti dei presidenti. Ed è proprio questo che serve a Firenze: Torino negli anni Novanta si è completamente reinventata, e con successo, a partire dalla giunta Castellani perché per 10-15 anni lì si è lavorato a un progetto nuovo di città, prescindendo dai cambi di amministrazione. Questo è avere una visione di città».
Ma qual è il disegno di città per Firenze?
«Da cittadino mi domando quale sarà la Firenze tra 10-15 anni, in quale città vorremmo vivere. Credo si debba recuperare l’adrenalina della storia, in una città in cui le cose accadono e non solo si raccontano le cose accadute in passato. Dobbiamo lavorare a testa bassa sui contenuti, in modo scientifico, per diventare una città globale, interconnessa con il mondo. Firenze ha tutte le caratteristiche per riuscirci. Occorre lavorare su più parametri: il capitale umano, l’apertura internazionale, lo sviluppo delle eccellenze».
La più piccola della città globali.
«Certo, ma le dimensioni non sono un problema. Anche Francoforte e Washington non sono metropoli, ma sono città globali. Serve consapevolezza, però: Firenze deve attrarre imprenditoria produttiva internazionale, che vuol dire ricchezza, e muovere l’ascensore sociale, che invece è bloccato. Firenze sta all’Italia come l’Italia sta al mondo: potremo essere un laboratorio per il Paese se saremo un luogo dove si fa bene impresa. Come riuscirci? Bisogna studiare».
Per farlo però si dovrà superare la frattura tra Firenze ed il territorio circostante.
«Quando parlo di Firenze intendo Firenze e tutto il territorio della città metropolitana. Anzi, se ci aggiungiamo Prato, Pistoia e il Valdarno l’area diventa ancora più importante».
Questa visione contrasta con la Firenze della rendita e del turismo.
«Il turismo è un fattore fondamentale, anche di ricchezza, ma è solo un aspetto di Firenze, non il prevalente».
Firenze città globale, ma il nostro artigianato lo è?
«L’artigianato si salva sono se diventa globale, con due caratteristiche: eccellenza e internazionalizzazione. Altrimenti resterebbe un artigianato tutto dedito al turismo, un po’ “polveroso”, con logiche ristrette anche dal punto di vista del profitto. Firenze non ha mai fatto un salto vero, come Torino. Forse perché Torino era arrivata sull’orlo del baratro, mentre Firenze è sempre stata bene. Ma il futuro chiede di scegliere strade nuove».
A Firenze c’è una classe dirigente in grado di governare il cambiamento, questo disegno ambizioso? «Quello della classe dirigente è un problema italiano, prima che fiorentino, e internazionale. Firenze una classe dirigente ce l’ha, ma deve allargarla, scoprire le tante individualità, italiane e internazionali, che vanno connesse».
Come si coinvolgono in un impegno civico i più capaci?
«Se hai un progetto emozio- nante e attraente ci riesci. L’asse Firenze-Milano ad esempio è una bellissima idea, Milano è la città più europea del Paese e puntare su questo rapporto è una sfida che condivido totalmente».
La Fondazione con la cessione delle quote ha incrementato il suo patrimonio e rafforzato l’impegno sul territorio. A maggiore ruolo corrispondono però doveri maggiori, a cominciare dalla trasparenza. Problema risolto?
«Siamo e stiamo diventando trasparenti. Il nostro sito è molto aperto e dà informazioni precise sui bandi. Noi vogliamo comunicare di più quello che facciamo e che cosa vogliamo fare: vorremmo soprattutto che la città capisse meglio cosa siamo. Io ho trovato una buona situazione grazie ai presidenti passati, adesso dobbiamo investire di più sulla nostra identità. Noi non siamo una banca né un centro finanziario: siamo un ente no profit, il più importante di Firenze, e lavoriamo esclusivamente per migliorare la qualità della vita della città e dei nostri territori di riferimento; la finanza è solo uno strumento di gestione del patrimonio e di crescita. Anche l’apertura della sede di via Bufalini ha un grande significato e non solo perché mostriamo la nostra collezione d’arte, ma perché apriamo la nostra casa, un pezzo di storia, alla città. La città ha risposto benissimo e abbiamo prolungato l’esposizione dal 15 gennaio al 16 febbraio. Le visite sono già tutte prenotate. Finora hanno visitato la collezione oltre 6.000 persone e 110 giovani sono stati formati per fare da guida ai loro coetanei nell’ambito dei progetti di alternanza scuolalavoro. E adesso c’è un altro appuntamento importante». Quale? «Nel 2017 festeggeremo i 25 anni della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. E da aprile inizieremo una serie di iniziative per spiegare alla città il nostro contributo. Come in questi mesi abbiamo aperto le porte della nostra “casa”, ora intendiamo andare noi tra i fiorentini promuovendo eventi nei luoghi più significativi».
Come sta andando la riorganizzazione della Fondazione?
«Io sono arrivato due anni e mezzo fa e mi sono mosso su alcune priorità. La prima è stata la riorganizzazione della gestione del patrimonio per renderla più moderna, anche con le diversificazioni. Poi abbiamo riorganizzato internamente la fondazione, in tutti i suoi aspetti, e abbiamo preso un revisore esterno. Infine per quanto riguarda le erogazioni abbiamo puntato sulla progettualità nostra: le erogazioni su richiesta di terzi restano importanti, ma non preponderanti, anche con il supporto di altri soggetti. È una specie di rivoluzione copernicana, che ribalta l’approccio: non facile da realizzare, serve tempo».
Nel panorama nazionale della fondazioni bancarie co- me vi inserite con la vostra nuova stagione?
«Le grandi fondazioni nazionali stanno facendo molto per i loro territori e sono un patrimonio di questo Paese. Direi che le fondazioni di origine bancaria devono decidere cosa fare da grandi e le idee non sono chiarissime o sempre condivise. Nella mia idea la banca è esclusivamente un momento di gestione del patrimonio, nulla di più. Le fondazioni sono servite per la privatizzazione del credito: una fase che appartiene al passato, adesso devono fare altro. Noi abbiamo una visione più staccata dal mondo della finanza. Vogliamo essere un faro del no profit, in un tessuto fertile come quello fiorentino e italiano; un modello di espansione di questa cultura, anche a livello istituzionale». Un modello, dunque? «Ognuno sceglie la sua strada. Noi pensiamo di essere su quella giusta».
Pesa la politica sulle vostre decisioni?
«Noi siamo privilegiati, per così dire. Nel comitato di indirizzo, che nomina il Cda che a sua volta nomina il presidente, abbiamo solo 5 membri di nomina politica su 22 (due per Palazzo Vecchio, uno per il sindaco di Empoli, uno per quello di Arezzo e uno per quello di Grosseto). Il resto è assemblea dei soci, cioè la città e altre istituzioni. Non ho mai avuto nessuna pressione politica».
Sta dicendo che non sentite il fiato sul collo della politica?
«Siamo pienamente autonomi, per merito nostro ed anche dei politici del nostro territorio che sono assolutamente rispettosi del nostro ruolo. Noi avremmo tutte le “mura” per difenderci, ma non serve».
Il vostro patrimonio è stabile? Ci saranno cambiamenti, dismissioni?
«È stabile. Cercheremo di accrescerlo, valorizzandolo al meglio e dinamicamente».
Presidente, lei è preoccupato per l’economia, per il Paese?
«Mi preoccupa l’incertezza sulla leadership in molti Paesi europei ed occidentali; andiamo verso un anno in cui dobbiamo sperimentare che cosa significa la presidenza Trump negli Usa, si voterà in Francia e Germania, in Italia non sappiamo se si andrà a votare o no. C’è tanta incertezza e ciò non potrà che avere ripercussioni sul mondo della finanza. Siamo in un mondo complesso. Manca però un pensiero forte. Ci sarebbe bisogno degli intellettuali, che dovrebbero reinventarsi il loro ruolo».
Tra tante incertezze non fa eccezione l’aeroporto di Firenze…
«Siamo soci della Spa che lo gestisce. Aspettiamo la famosa nuova pista, poi valuteremo il da farsi. Siamo di supporto a Toscana Aeroporti: per vincere la sfida di una città globale, anzi per non perdere quei pezzi di globalità che già hai, serve un aeroporto efficiente, adeguato, più internazionale. E spero di vedere la fine di questa vicenda».
Serve una visione di città, che ora manca. Il G7 della cultura sarà l’occasione per mostrare cosa sappiamo fare Le fondazioni devono reinventarsi e noi vogliamo essere un faro del no-profit, un modello di questa cultura