L’ultimo viaggio di Paolo Balbo Oltre le polemiche
Si è conclusa ieri, con una cerimonia nel duomo d’Orbetello e la tumulazione della salma di Paolo Balbo nelle adiacenze del cimitero degli Atlantici, una grande storia italiana. Una storia cominciata negli anni Trenta con le trasvolate atlantiche partite dall’idroscalo della cittadina toscana e proseguita fra New York e Guidonia, Tripoli e Tobruk. Paolo Balbo, morto a Roma il 16 dicembre scorso all’età di 86 anni, era l’unico figlio maschio di Italo e, dopo l’infanzia in Libia, aveva vissuto il dramma della scomparsa del padre, vittima il 28 giugno 1940 della nostra contraerea. Non fece il militare e intraprese la carriera forense; ma combatté tutta la vita in difesa della memoria paterna. Le cause più sofferte le vinse, forte della sentenza della corte d’Assise di Ferrara che nel 1947 aveva riaperto il caso prosciogliendo Balbo, contro chi accusava suo padre di correità nell’assassinio di don Minzoni, ma ne promosse la memoria anche fondando a Lucca l’Associazione Trasvolatori Atlantici. La devozione al padre l’indusse a rifiutarne ogni forma di appropriazione strumentale: apprezzò la decisione di Massimo Brutti, sottosegretario alla Difesa nel governo Prodi, che nel 1996 volle scoprire un busto del padre al Ministero, ma certo non avrebbe amato le polemiche che proprio in questi giorni hanno accompagnato la raccolta di firme per intitolargli una strada a Orbetello, subito contestata dall’Anpi. Autentico signore, aveva un alto sentimento dello Stato, che lo ha indotto a devolvere le preziose carte paterne all’Archivio Centrale dello Stato e all’Istituto universitario di Ferrara. Ma quando parlava della Libia gli occhi gli s’illuminavano: riemergeva il fanciullino che nel palazzo del Governatore a Tripoli aveva il compito di porgere un mazzo di fiori agli ospiti di riguardo. Pur vivendo a Roma, era molto legato alla Toscana, per le memorie paterne, per i soggiorni viareggini nella casa della moglie e perché alla sua famiglia era appartenuto il promontorio di Punta Ala. Il quadrunviro l’aveva acquistato, grazie alla dote della consorte, una Florio, quando era ancora paludoso e malarico, trasformandolo in un buen retiro per sé e gli Atlantici. Nel 1959 gli eredi Balbo vendettero i terreni, ponendo le premesse per la trasformazione del promontorio in un’esclusiva località turistica, ma conservarono la rocca. Anche per questo quando nel 1970 Gheddafi espulse dal suolo libico non solo gli italiani vivi, ma anche quelli morti, e si pose il problema di dove inumare i resti di Italo, fino ad allora sepolti a Tobruk, Paolo preferì Orbetello a Ferrara, dove si trovava la tomba di famiglia. Ora, in un piccolo lotto di terreno nelle adiacenze del cimitero degli Atlantici, Paolo riposa accanto al padre e a un frammento di storia italiana in cui sino all’ultimo ha continuato a riconoscersi.