Corriere Fiorentino

Se il Faust rivive a Parigi

Alle prove dell’opera musicata da Gounod: una messa in scena fastosa da Maggio dei tempi d’oro Il regista Ravella che riprende il lavoro di David McVicar: «L’ambientazi­one? Nella capitale francese»

- Valeria Ronzani

Da venerdì 20 sino al 3 febbraio all’Opera va in scena il Faust di Gounod, per la regia di McVicar ripresa da Bruno Ravella

Sul podio Juraj Valchuha (foto): Faust è il tenore coreano Wookyung Kim, Marguerite Carmela Remigio, Méphistoph­élès Paul Gay, Siebel Laura Verrecchia

«Uomini orgia, donne manicomio!», strilla Marina Dardani, direttore di scena giunta al Maggio da Parma, a quanti affollano il palcosceni­co prima di concedere 10 minuti di pausa.

Si prova Faust di Gounod, opera che manca dai palcosceni­ci fiorentini dall’ottobre del 1985. Arriva a Firenze nella sontuosa, potente (a Trieste pure un accenno di scandalo) produzione della Royal Opera House firmata David McVicar, uno dei geni del teatro musicale dei nostri giorni. Sul podio una delle bacchette più talentuose della sua generazion­e, il lanciatiss­imo Juraj Valchuha. La prima è prevista per venerdì 20 e le prove si susseguono serrate. Abbiamo sbirciato quelle del secondo atto. Attività frenetica, mimi, comparse, ballerini e il coro in stato di grazia. Una scena complessa, architettu­re costruite, pare di essere tornati al Maggio dei tempi d’oro. Purtroppo non c’è McVicar, godiamoci però la ripresa della sua regia a opera di Bruno Ravella. Uno che lo spettacolo lo conosce bene e ne ha curato le riprese in giro per il mondo, dalla Spagna all’Australia allo stesso Covent Garden nel 2014. «McVicar ha chiesto sempre a me di curare le riprese. Mi ha mostrato il video spiegandom­i il suo lavoro. È una produzione complessa, succedono tante cose, cambi veloci, cortine che scendono, dobbiamo essere una macchina perfetta che non perde un colpo. Cerco di essere molto fedele all’originale, c’è una logica interna in questo spettacolo, se la capisci poi riesci a districart­i anche per gli adattament­i. A Firenze il palcosceni­co è molto più grande di Londra, la scenografi­a l’ho aperta un po’. Anche il coro è più numeroso, 25 elementi in più. Non è negativo su un palcosceni­co così grande. Inoltre li si può far interagire fra di loro a piccoli gruppi. Non è facile muovere un coro. Molti registi di prosa si avvicinano all’opera pensando che sia la stessa cosa e fanno errori da principian­ti. Io ormai faccio solo regie liriche. All’inizio della carriera avrei voluto fare anche prosa, ma ora non mi interessa più. Amo molto la musica, capisco la lirica e come fare cose in accordo alla musica».

Nato a Casablanca da padre italiano e madre polacca, sfodera un delizioso accento francese di cui però si schernisce. «Ho fatto la scuola francese, ma non riesco a liberarmi di questo accento qualsiasi lingua parli. Ora la mia famiglia vive tutta in Francia, ma siamo cittadini italiani, anche mia madre. Io da 25 anni, da quando ho terminato gli studi, vivo a Londra. E speriamo, con questa Brexit . .». Con McVicar è stato assistente nell’Aida e in The Rake’s Progress, una ripresa di Traviata e tante di Faust. Ma anche proprie regie in giro per il mondo e tanto lavoro coi cantanti in stage titolati. Un Faust di numeri e potenza. 11 ballerini, 8 mimi, 8 bambini, 85 coristi più il cast. Le scene di insieme sono corpose. L’azione viene spostata ai tempi di Gounod. E, conoscendo il teatro di McVicar, non può certo essere una scelta gratuita. «In questo spettacolo Faust è Gounod così come Mefistofel­e è il teatro e Margherita la fede. L’azione è spostata al 1869, anno della prima all’Operà di Parigi del Faust (nel ‘59 era stato rifiutato perché non abbastanza fastoso, ndr), ma anche un anno prima dello scoppio della guerra franco-prussiana. C’e un piccolo prologo all’inizio, in cui si vede entrare Gounod con la partitura di Sapho, la sua prima opera, a cui lui era legatissim­o ma che non ebbe mai fortuna», ci anticipa Ravella.

Gounod visse intense crisi spirituali e fu più volte sul punto di abbracciar­e il sacerdozio. Questa dicotomia nella sua esistenza si riflette nell’opera nella continua tensione fra la dimensione del sacro e del profano. In scena, sulla sinistra un palco dell’Opera Garnier allora in costruzion­e, con gli stucchi in via di doratura, si interfacci­a con uno squarcio della Chiesa di Saint-Séverin. Davanti al palco il baule da cui Mefistofel­e estrae i suoi trucchi. Le scene di Charles Edwards ci riservano anche un ballo al Cabaret L’Enfer, con l’insegna rossa appesa ai piedi di una sorte di Torre Eifell ancora da costruire, il cabaret che esisteva davvero, decorato da demoni fra antri bui, e arriva pure lo storico primo allestimen­to di Giselle. Con una Giselle che però ha il pancione. Così Faust capisce che è Margherita incinta. Intanto il clima interventi­sta infiamma gli animi dei cittadini per quella che sarà la disastrosa impresa della guerra alla Prussia. Siebel soffre, è claudicant­e e non può arruolarsi. Mentre gli uomini leggono i giornali interventi­sti. «Qui tutto diventa un incubo — chiosa Ravella — La storia è molto chiara, c’è un grande rispetto del libretto, ma l’ambientazi­one in quel periodo ci dà tutto un contorno di stimoli ulteriori». Faust è il tenore coreano Wookyung Kim, Marguerite Carmela Remigio, Méphistoph­élès Paul Gay, Siebel Laura Verrecchia; repliche fino al 3 febbraio.

 Suggestion­i In questo spettacolo il compositor­e parla di sé Un uomo che visse intense crisi spirituali

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