Corriere Fiorentino

LA LICENZA DI FARE CASSA

- Enrico Nistri

La decisione del Comune di Firenze di concedere 70 nuove licenze di taxi a giovani in cerca di prima occupazion­e è senz’altro apprezzabi­le. Cercare di risolvere il problema della disoccupaz­ione in modo diverso dal tradiziona­le ricorso all’ingrossame­nto del pubblico impiego è una scelta condivisib­ile. E di tassisti a Firenze c’è bisogno. Al di là degli aspetti giuridico-formali, che hanno indotto la burocrazia comunale a richiedere ulteriori garanzie sulle fidejussio­ni ai vincitori del bando, è tuttavia lecito chiedersi se la scelta di mettere in vendita le licenze sia stata l’opzione più felice.

È vero che il Comune ha bisogno di soldi; ma la richiesta di 175 mila euro per intraprend­ere una nuova attività è tutt’altro che irrisoria, per chi ha veramente bisogno. C’è tuttavia un altro motivo che urta nella scelta del Comune di alienare le licenze. Rinunciare alla loro vendita avrebbe significat­o mettere la parola fine alla patrimonia­lizzazione di un bene che non esiste. I requisiti necessari per divenire tassisti sono infatti solo il possesso di un’automobile adeguata, di una fedina penale immacolata, di una patente: la licenza non è un bene materiale, che si compravend­e, come una casa. Invece di chiedere soldi, il Comune avrebbe potuto cogliere l’occasione per imporre ai vincitori del bando nuove regole: l’accettazio­ne dell’installazi­one di un rilevatore satellitar­e degli itinerari, per prevenire «giri pesca» strumental­i ma per la sicurezza degli stessi tassisti, l’obbligo di esibire un tesserino di riconoscim­ento con tanto di fotografia, per sanare la piaga del subaffitto di licenze, il rilascio di scontrini fiscali (ormai li emettono anche gli ambulanti) e la disponibil­ità del Pos, per favorire la trasparenz­a e anche per evitare spiacevoli discussion­i sulla carenza di spiccioli, prezzi di favore per anziani, donne incinte, invalidi, per cui una città pedonalizz­ata come Firenze sta divenendo inaccessib­ile, la rinuncia a balzelli arcaici, come il supplement­o notturno, che in certi casi supera il costo della corsa.

Concedere le nuove licenze sostituend­o l’esborso di un patrimonio con un piccolo canone annuale e con l’introduzio­ne di regole chiare e tassative avrebbe consentito di uscire dalla logica perversa per cui chi possiede una licenza di tassì non si considera l’esercente di un servizio pubblico, ma il titolare di una rendita trasmissib­ile a figli e nipoti. A vendere le cariche per tappare i buchi di bilancio, nell’Europa del Seicento, era la monarchia francese. Lì per lì, risolse qualche problema; col tempo, però, fece una brutta fine.

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