LA CANCELLAZIONE DELL’ESEMPIO (BUONO O CATTIVO)
Caro direttore, come ricordato dal Capo dello Stato nel messaggio di fine anno «l’odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola. Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza». Parole pronunciate dal Presidente Mattarella, non a caso all’indomani di una campagna referendaria che sul piano della discussione pubblica ha raggiunto forse il livello più basso della storia repubblicana per faziosità e disinformazione. Tanto che uno psicanalista attento ai fenomeni sociali come Massimo Recalcati ha parlato di un «godimento della distruzione» che sembra essersi impossessato di parte della società civile. Viene da chiedersi quanti italiani siano consapevoli che ogni cittadino adulto ha, ciascuno nel suo ambito, una responsabilità educativa nei confronti dei giovani. Non molti, si direbbe; e le espressioni «dare il buon esempio» o «il cattivo esempio» sembrano da qualche anno sparite di circolazione, quasi costituissero un insopportabile intralcio all’inalienabile diritto di esprimersi dell’individuo. Del resto lo stesso servizio pubblico ha da tempo sdoganato in qualsiasi orario termini prima rigorosamente confinati nei discorsi fra amici e colleghi. Persino alcuni insegnanti concorrono su Facebook alla trasformazione di internet «in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi», per citare ancora Mattarella; dimenticando che un loro compito essenziale sarebbe quello di promuovere lo spirito critico, la conoscenza dei problemi, la capacità di argomentare con efficacia, ma anche col necessario rispetto per gli interlocutori. Non c’è dubbio, però, che le maggiori responsabilità della diseducazione al civile confronto delle idee sono di chi gode della maggiore presenza mediatica, cioè i non pochi politici che falsificano o distorcono le idee altrui e fanno un uso sistematico dell’ insinuazione, del processo alle intenzioni, dell’irrisione e dell’insulto nei confronti degli interlocutori. Il tutto nel quadro di un’ i per semplificazione dei problemi politici e sociali, che allontana dal necessario approfondimento; e se ne vede il riflesso anche nelle sconclusionate parole d’ordine degli studenti che occupano le scuole. Un’ indiscriminata polemica contro «la casta» è servita come rampa di lancio per l’antipolitica, spingendo i ragazzi a fare di ogni erba un fascio e a condannare senza appello tutti quelli che si dedicano alla cosa pubblica. Ma è quasi certo che così si ottiene un effetto molto diverso dall’auspicato rinnovamento, perché i migliori talenti giovanili si guarderanno bene dall’impegnarsi in politica, in quella che per troppi è oggi un club di profittatori e di inaffidabili. Per uscire da questa situazione, sarebbe utile, anzi doveroso, che i responsabili delle istituzioni pubbliche facessero l’esercizio di agire e parlare come se fossero costantemente osservati dai bambini e dai ragazzi delle scuole, che si sentissero cioè insegnanti di educazione civica in atto. Valutando loro stessi se stanno dando o meno «il buon esempio».