Quelle gentili tirate d’orecchie del presidente
PAOLO GROSSI
Nell’udienza pubblica dell’altroieri il presidente della Consulta Paolo Grossi si è spazientito. Ha preso di mira l’avvocato Enzo Palumbo, ex parlamentare liberale, perché si dilungava oltre misura. E lo ha strapazzato a dovere. Quasi che fosse uno studentello dimentico che iura novit curia. Ma sì, benedetto Iddio, che il giudice conosce la legge. Perciò è perfettamente inutile tirarla per le lunghe. Si badi che Grossi è un fiorentino sui generis. Chi è nato sotto il giglio è sempre un po’ fumantino. Lui no. È la persona più cortese di questo mondo. Non ha bisogno di sfoggiare sapienza di continuo, perché lui è autorevole di suo. E incute sempre un po’ di soggezione. Animale a sangue ghiaccio come pochi altri, se s’impunta è a ragion veduta. Come per l’appunto in questo caso. Sì, perché è finita come lui temeva.
Le sue tirate d’orecchie si sono susseguite in un crescendo rossiniano. «Sia breve, per favore». «La prego di non esasperare la Corte». «Non legga testi già scritti». «Si limiti a esporre oralmente». «Sta abusando della nostra pazienza». «Lasci perdere le concioni politiche e si concentri sulle questioni giuridiche». «Guardi, avvocato, adesso le tolgo la parola». Un fuori programma, uno spettacolo. Ma si capisce. Perché, a causa della logorrea di qualche avvocato, è successo il patatrac. Nella camera di consiglio seguita all’udienza pubblica i giudici hanno avuto poco tempo per pronunciarsi sull’Italicum, la legge elettorale per la Camera dei deputati sottoposta al loro giudizio. Perciò la pronuncia è slittata di un giorno. A ieri, mercoledì. Poco male, si dirà. E invece no. Difatti i nostrani arcana imperii sono messi a dura prova in un Paese dove i segreti sono quelli di Pulcinella. Insomma, Grossi temeva gli spifferi, le correnti d’aria, le voci di dentro. Per dirla con Eduardo De Filippo.
La cosa si è puntualmente verificata. La sentenza della Consulta è stata anticipata dai boatos di questo o quell’altro giornale. Sono giorni che su Repubblica la brava Liana Milella, una sorta di Elsa Maxwell della giustizia costituzionale, armata di sfera di cristallo non solo scrive come sarebbe andata a finire. Ma addirittura rivela le forze in campo. A suo dire, ci sarebbero i «governativi» capeggiati da Augusto Barbera che vorrebbero cambiare il meno possibile. Al fine di anticipare il ricorso alle urne, come chiede Matteo Renzi. Ci sarebbero poi i «falchi», come Paolo Grossi e il relatore Nicolò Zanon, che vorrebbero fare tabula rasa. O giù di lì. Il che comporterebbe un intervento legislativo del Parlamento. Campa cavallo. Con il risultato che i tempi del ricorso alle urne slitterebbero di continuo. Infine poteva mancare l’onesto sensale nella persona — manco a dirlo — di Giuliano Amato, non a caso ribattezzato Dottor sottile? Certo che no. Lui è un mediatore nato. Non pro domo sua, ci mancherebbe. Ma a fin di bene. E allora tanto varrebbe introdurre anche da noi le dissenting opinions. Così sapremmo le ragioni di chi è rimasto in minoranza.
Grossi, si sa, è un pozzo di scienza. Primo in tutto, non cammina, incede con passo cardinalizio. Come Spadolini. È stato un fenomeno al liceo classico Dante, lo stesso frequentato da Renzi. Ha avuto un cursus honorum accademico fuori dal comune. Carduccianamente scrive di tutto: monografie saggi e articoli di altissimo livello. E ha molte altre virtù. Con i suoi allievi, oggi tutti meritatamente in cattedra, si è comportato come una chioccia con i pulcini. E non si è mai stancato di spezzare loro il pane della scienza. Un caposcuola come pochi altri. Professore emerito di Storia del diritto italiano nella Facoltà fiorentina di Giurisprudenza, della quale è stato preside. Accademico dei lincei. Premiato con il Fiorino dalla città di Firenze. Ha fondato i Quaderni fiorentini, una prestigiosa rivista che è da sempre la sua creatura prediletta. Il suo fiore all’occhiello.
Nominato giudice costituzionale da Napolitano il 23 febbraio 2009, è stato eletto all’unanimità presidente della Consulta il 24 febbraio 2016. Pertanto rimarrà in carica fino al 23 febbraio 2018. Due anni tondi, una delle presidenze più lunghe degli ultimi tempi. È il solo fiorentino che ha ricoperto una carica così prestigiosa. È stato preceduto da un toscano di Seravezza come l’avvocato Leonetto Amadei, ex deputato socialista ossessionato dalle guardie del corpo. Un mostro di simpatia. Da Ugo De Siervo, savonese di nascita ma fiorentino d’adozione, collega di Grossi nella Facoltà di Piero Calamandrei e Paolo Barile, suo maestro. E tra i toscani, ancorché ligure, può essere annoverato — primo tra tutti — anche Paolo Rossi. Professore di Diritto penale, membro dell’Assemblea costituente, deputato socialdemocratico tra i più illustri nelle prime quattro legislature. E gran signore con bella villa a Gattaiola, in Lucchesia, dove lo intervistai tanto tempo fa.
La Corte e il referendum costituzionale hanno dato l’impressione di rincorrersi. E la data della decisione della Consulta sull’Italicum è apparsa sofferta. Grossi aveva fissato l’udienza il 4 ottobre, quando il referendum sembrava in programma a metà dello stesso mese. Ma poi il presidente ha dovuto ripensarci. Slittato il referendum al 4 dicembre, l’udienza è stata fissata per il 24 gennaio. A bocce ferme. Ed ecco finalmente il verdetto. La Consulta ha bocciato sia il ballottaggio sia la facoltà dei capilista eletti in più collegi di sceglierselo a piacimento. Perciò varrà il sorteggio previsto dall’articolo 85 del Testo unico per l’elezione della Camera dei deputati n. 361 del 1957. La legge è di immediata applicazione. La Consulta non ha censurato il premio in seggi alla lista che al primo turno raggiunga il 40 per cento dei voti. Ma questo tetto è irraggiungibile. Perciò avremo un proporzionale non dissimile da quello per il Senato. E le elezioni anticipate si avvicinano a grandi passi. Il guaio è che la governabilità tornerà a essere un mito. Ci salverà ancora una volta lo stellone della Repubblica?
L’arma dell’ironia Sempre cortese e calmo, ma se si impunta... Ne sanno qualcosa gli avvocati anti Italicum