Nel gran mangificio Pietrapiana
Viaggio in centro dopo lo stop a nuovi locali annunciato dal sindaco Ecco come l’invasione dei panini tocca anche strade senza tanti turisti
Dario Nardella, nell’intervista al Corriere Fiorentino di ieri, ha annunciato alcuni provvedimenti sulla tutela dell’identità dei negozi del centro, aperto alcuni fronti di scontro come quello sul servizio dell’Ataf, e ribadito che su alcuni progetti, come quelli su piazza del Carmine e piazza dei Ciompi, vuole andare avanti ed accetterà solo le modifiche possibili fino all’inizio dei lavori, tra poche settimane. Sul fronte del centro, è quasi pronta la «norma anti mangificio». Uno stop alle autorizzazioni per nuovi locali da somministrazione di cibo in centro storico, valida tre anni. Un modo per bloccare la «saturazione da panini», ma probabilmente sarà una stretta ancora più forte nei confronti dei minimarket. Una norma possibile grazie ai nuovi poteri per i sindaci, inseriti in un emendamento del «decreto Scia 2», l’ultima parte della riforma della pubblica amministrazione voluta dalla ministra Marianna Madia. Sul fronte Ataf, Nardella si è detto consapevole dei problemi nati dai cantieri, ma «alcune inefficienze sono intollerabili, corse che saltano ad esempio: aprirò una nuova vertenza» con l’azienda. Una vertenza difficile, ora che si apre la nuova rivoluzione della mobilità alla stazione Santa Maria Novella.
C’è un piccolo negozio di abbigliamento vintage che un bel giorno ha deciso di aumentare la clientela facendo un po’ di spazio tra i vestiti e infilarci nel mezzo sedie e tavolini. Ma i bicchieri di prosecco e di spritz hanno subito dimostrato di avere più successo di gonne e pantaloni. E quel piccolo esperimento di sincretismo commerciale è subito sfumato: non con un ritorno al passato, cioè ai vestiti vintage, ma con un salto in avanti verso aperitivi, panini e quelle «braciole fritte» orgogliosamente rivendicate a caratteri cubitali sulla lavagna all’ingresso. Siamo in via Pietrapiana, sulla direttrice commerciale che da piazza Alberti porta fino a piazza della Repubblica: qui ancora i turisti che riempiono borgo Albizi, via del Corso o via degli Speziali non ci sono, qui si parla solo fiorentino.
Eppure, quando un negozio storico chiude i battenti, quasi sempre al suo posto spunta un ristorante, un barettino, un alimentari, una «unteria» dove si friggono anche le ciabatte. Nei 290 metri di strada pedonale, le attività riconducibili all’alimentazione, alla somministrazione di bevande o alla vendita di cibo sono quindici, alcune storiche, altre meno. Tra le più recenti, la paninoteca vegana, spuntata al posto della merceria di Valentina Ferrara (la cugina del giornalista Giuliano), un’attività che risaliva al 1955.
Poi, oltre alle braciole nell’ex bottega vintage, c’è anche la norcineria che ha rimpiazzato un negozio di abbigliamento. Stessa storia per la storica merceria Rossi: dopo una vita tra stoffe e bottoni, quattro anni fa la signora Enrica lasciò. Al suo posto un’enoteca che sull’insegna sfoggia un «1949» che di sicuro non si riferisce all’età del negozio. La trasformazione del centro storico di Firenze in un grande mangificio non riguarda più solo le strade delle comitive di turisti. Il fenomeno si spande a macchia d’olio. Palazzo Vecchio vuole metterci un freno. E Confesercenti apprezza. «Sosteniamo l’idea del sindaco — dice il direttore fiorentino Stefano Fontinelli — la legge Franceschini apre possibilità nuove per i Comuni. E Firenze fa bene ad approfittarne, tanto più che Nardella ha anche il merito di aver ispirato questo provvedimento. Noi siamo convinti che si debba tutelare l’identità del nostro commercio e la fisionomia delle nostre strade. E pensiamo che prendersi una pausa di riflessione sia giusto». E certo non si sfugge alla logica dell’assedio dove le comitive dettano legge, dove ad ogni ora del giorno e della sera c’è la lunga coda di stranieri che leggono le recensioni su Tripadvisor e fanno la calca per un panino: in via dei Neri, la street food per eccellenza, sembrava che non ci fosse rimasto più nulla da colonizzare a suon di padelle, eppure arrivano ristoranti nuovi. Negli ultimi mesi, scompare un bar per far posto a una pizzeria, scompare una lavanderia per lasciare spazio all’insegna fucsia degli ennesimi ravioli cinesi.
Ormai, a resistere, a parte tabacchi e pellami, c’è il ferramenta e il vecchio (bellissimo, tanto più in quel contesto) negozio di vinili. A cadere sotto l’embargo di Palazzo Vecchio saranno anche i minimarket. Che insieme a schiacciate ripiene e pizze in vetrina, conquistano sempre di più persino le strade della movida, forse per aiutare a smaltire i bagordi alcolici. All’angolo tra via Verdi e via dell’Agnolo, dove è altissima la concentrazione di bar serali, ci sono scorci in cui non si vede nulla di diverso dalle cibarie: panini al sapore di smog, minestre giapponesi che strizzano l’occhio alla moda, e vetrine dei minimarket che hanno rimpiazzato le bottiglie di alcolici (oggi è vietato metterle in mostra) con le confezioni di pastasciutta carnevale: trofie, orecchiette e fusilli? Ai cinque gusti, uno solo non basta più.