Renzi, primarie 5 anni dopo Ma col partito rovesciato
Sfida anticipata per la leadership, contro gli strappi. Non tutti sono d’accordo
Renzi, il Pd e le primarie anticipate: cinque anni dopo il copione potrebbe ripetersi, ma a parti invertite. Nel 2012, forte della spinta dal basso e della Leopolda, Renzi riuscì ad ottenere che il Partito democratico organizzasse (anzitempo rispetto alle regole dello statuto) le primarie per il candidato premier. L’allora sindaco di Firenze perse 60 a 40 contro il segretario Bersani, che poi però «non vinse» le elezioni. Oggi, dopo la batosta al referendum, c’è il rendez-vous ma tutto al contrario. Renzi non ha più il vento in poppa, vuole tornare al voto al più presto, ma per provarci deve prima evitare l’esplosione del Pd di cui è segretario dal 2013. Se D’Alema e i suoi fedelissimi sembrano dati per persi, con la scissione ad un passo, dopo una trattativa dietro le quinte è stato Bersani a chiedere (e ottenere, come condizione per non mollare pure lui) che il partito organizzi almeno le primarie anticipate. Una svolta ventilata ieri dallo stesso Renzi, pronto a sfidare gli avversari interni nel voto che potrebbe tenersi l’ultimo week end di marzo. Quindi niente congresso subito, come invece chiede l’ala dura della minoranza dem, ma anche questo potrebbe tenersi in anticipo se si votasse nel 2018. Sì alle primarie come strumento per rilegittimare la leadership. Un percorso politico che non trova cd’accordo tutti i parlamentari, compresi quelli toscani. Per capire meglio il clima (rovente) abbiamo così intervistato i deputati Pd Filippo Fossati (Sinistra dem) , Elisa Simoni (vicina ai Giovani Turchi, già pontiera tra minoranza e Renzi) ed il senatore Andrea Marcucci (renziano).