La marcia disperata di Piombino: ci stiamo spegnendo
Gli operai sono scesi di nuovo per le strade, invadendo insieme a studenti e simpatizzanti le vie del centro. Tutti uniti per combattere, di nuovo, lo spettro di una crisi che metterebbe a dura prova non solo Piombino, ma tutto il comprensorio. Sono passati tre anni da quando l’altoforno Lucchini è stato spento per l’ultima volta e da allora sono accadute molte cose, dall’arrivo dell’imprenditore algerino Issad Rebrab all’accordo di programma con il governo da cui è nata Aferpi. Eppure, quasi nulla sembra cambiato. «Allora il motto era: Piombino non deve chiudere — dice Marco, operaio — Oggi non è più così, perché Piombino è ormai chiusa». Sono le 9.30 e di fronte allo stabilimento ci sono centinaia di persone, pronte a mettersi in marcia. I delegati sindacati distribuiscono a tutti un volantino. «A seguito della mancata realizzazione, a oggi, del piano industriale Cevital — si legge — vogliamo denunciare che lo stabilimento si sta gradualmente spegnendo. Manifestiamo in difesa del “Progetto Piombino” che deve essere salvaguardato a prescindere così come configurato nell’accordo di programma del 2014, verso il quale i firmatari sono tenuti a rispettare tutti gli impegni presi». Impegni come la ripresa del ciclo integrale della produzione dell’acciaio e le bonifiche sui siti dismessi, ad oggi fermi. Poco prima delle dieci il corteo inizia a muoversi, con in testa il sindaco Massimo Giuliani e i colleghi del comprensorio. Le frasi che arrivano dal megafono, in testa al corteo, sono inquietanti. «Ci hanno truffato» si sente. «Siamo qui per dare un futuro alla fabbrica», continua. La speranza a cui si aggrappano in molti è l’ultimatum che il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha dato a Rebrab, imponendogli di portare garanzie finanziarie per il piano entro la prossima settimana. Ma un ultimatum arriva anche dalla manifestazione. «O il ministero trova le risposte da Rebrab in pochi giorni oppure saremo noi ad andare a Roma per manifestare» dicono i sindacati. «Il progetto però non è ancora morto» dice il sindaco Massimo Giuliani, attaccando sì Rebrab per «gravi inadempienze», dice, ma riscuotendo comunque una buona dose di fischi da parte di una frangia dei manifestanti. «Il percorso che abbiamo fatto finora è stato condiviso, i risultati li abbiamo raggiunti perché uniti — si difende a gran voce Giuliani dal palco — Solo uniti possiamo riuscire a far ripartire la fabbrica. Perché questa città vive con il suo acciaio».