VACCINI OBBLIGATORI, QUALCHE DOMANDA A CHI ANCORA DICE NO
Caro direttore , ho letto la lettera firmata da Paolo Sarti sul tema dei vaccini, sul Corriere Fiorentino di mercoledì 31 gennaio scorso. È quella del collega una interessante ricostruzione della storia vaccinale, che peraltro io ho seguito negli anni, anche nel Consiglio Superiore di Sanità, in occasione della revisione della obbligatorietà. Ma il tema, attualmente, sul quale solleva perplessità — o franca opposizione — è l’iniziativa, da parte di istituzioni pubbliche, quali Regione Toscana e Ministero della Salute, di mettere una barriera alla iscrizione ad asili e scuole materne per i bambini non vaccinati.
Relativamente a tale questione vi sono più aspetti da affrontare: efficacia della iniziativa, sua legittimità sul piano giuridico-costituzionale, eticità del provvedimento. Su questi aspetti, per me fondamentali, la riflessione di Sarti mi sembra apporti pochi contributi e, a mio parere, quei pochi, scarsamente condivisibili.
Non è facile prevedere quale sarà l’efficacia di un provvedimento che rende obbligatoria una serie di vaccinazioni (quelle individuate nel Piano vaccinale nazionale) per la iscrizione ad asili-nido e scuole materne. Come spesso succede, nell’ambito di provvedimenti che hanno un impatto sulle abitudini, sui costumi, sugli orientamenti comportamentali e psicologici della popolazione, lo sapremo ex post. Le premesse appaiono tuttavia ragionevoli. Il sistema della obbligatorietà delle vaccinazioni, un tempo vigente, ha funzionato al fine di incrementare, nel nostro e in altri Paesi, il tasso vaccinale.
Io, francamente, sono un po’ stanco, o perplesso, dal sentirmi ripetere da decenni che la norma non deve esserci e tutto deve essere affidato ad una «elevazione» della sensibilità e della educazione della popolazione. Era inutile, secondo alcuni, la obbligatorietà del casco per i motociclisti, che ha ridotto drasticamente la mortalità (anche questa veniva vista come una lesione alle libertà personali!); molti consideravano inutile la proibizione del fumo nei locali pubblici (gli italiani non l’avrebbero rispettata!), provvedimento che ha ridotto — anche — il numero dei fumatori. Le norme — e le multe — da sole non funzionano, ma aiutano e inoltre legittimano e rafforzano comportamenti «virtuosi».
E veniamo alla legittimità sul piano giuridico-costituzionale. Non si tratta di un tema semplice e su questo vi sono stati ampi contributi di medici e, in particolare, di costituzionalisti. Da un lato le persone non possono essere obbligate a trattamenti sanitari, in base all’articolo 32 della Costituzione, sebbene in questo caso intervengono, sulla decisione, i genitori dei bambini, con qualche elemento di riflessione e di perplessità in più. Ma la salute è anche, secondo la nostra Costituzione, interesse della collettività. Nello specifico, tuttavia, con la norma regionale non si costringe il genitore a vaccinare il proprio figlio né si nega l’accesso alla scuola dell’obbligo (come era invece previsto fino agli anni ‘90), ma ad un servizio educativo-sociale che le amministrazioni comunali e regionali mettono in atto e a cui il genitore può, ma non è obbligato rivolgersi. Si tratta quindi, da parte della istituzione regionale, di mettere in atto una occasione di controllo e di incentivo a seguire il programma di «vaccinazioni obbligatorie».
Vengo alla questione etica, che si incrocia, ovviamente, con le altre e in particolare con la «legittimità», e pongo una domanda a Sarti come medico pediatra. Gli sarà capitato di avere in cura dei bambini che devono rinviare, per un periodo anche lungo, il programma vaccinale: un piccolo malato che ha avuto un trattamento chemioterapico per leucemia; patologia che ha, spesso, una prognosi buona ma che richiede una terapia e una conseguente immunodepressione; un bambino, quindi, che per tale motivo, è stato ricoverato al Meyer e che aspira a rientrare in un ambiente comune «normale», recuperando quella rete di rapporti affettivi e amicali che ha lasciato. Non ha, questo bambino, diritto di frequentare un asilo-nido o scuola materna in cui la copertura vaccinale dei compagni — che non hanno le sue controindicazioni — sia adeguata? Come si coniuga il suo diritto con la decisione di genitori che, senza motivazioni sanitarie appropriate, abbassano il livello di protezione della collettività?
E infine una domanda ai lettori del Corriere. Una norma, quale quella prevista dalla Regione Toscana, che richiede la certificazione vaccinale, non ha anche un forte valore civile e culturale, indicando che quando si entra in una comunità si vengono ad assumere doveri, e che i doveri che riguardano la salute degli altri sono fondamentali?