UNA MATURITÀ A PROVA D’ATENEO
Può essere considerato un segno di speranza il fatto che proprio dalla Toscana, la regione che ha dato i natali alla nostra lingua, sia partito un appello «contro il declino dell’italiano a scuola», sottoscritto da 600 docenti universitari. Il documento, elaborato dal «Gruppo di Firenze per la scuola del merito», lamenta le carenze ortografiche, sintattiche, lessicali dei giovani iscritti all’università, «con errori appena tollerabili in terza elementare». Come rimedio avanza alcune proposte operative, fra cui una revisione dei programmi che restituisca rilievo all’acquisizione delle competenze linguistiche di base e l’introduzione di verifiche periodiche, compreso il vecchio dettato. L’appello pone il dito su una piaga diffusa, di cui sarebbe ingeneroso fare ricadere la colpa sui soli insegnanti, specie per quanto riguarda le carenze ortografiche. Maestri e maestre lavorano moltissimo, ma scontano scelte non loro, dai programmi del 1985, fritto misto di spontaneismo postsessantottardo ed enciclopedismo neopositivista, alla difficoltà di alfabetizzare classi multietniche. Le vecchie elementari cercavano di insegnare poche cose, ma bene: innanzitutto la calligrafia e l’ortografia. Molte maestre potevano peccare di ipercorrettivismo, ma il bambino che superava l’esame di quinta aveva imparato a dare del lei agli adulti e alla lingua italiana. Oggi certi errori si strascinano sino all’università, anche perché le indicazioni ministeriali invitano a privilegiare nella valutazione i contenuti. E i professori universitari fanno bene a lamentarsi e a proporre fra gli altri rimedi la partecipazione dei docenti del corso superiore agli esami finali del corso inferiore, un po’ come avveniva al tempo degli esami di ammissione alle medie o di licenza ginnasiale. Anche da loro però potrebbe giungere un contributo a un vaglio più severo dei maturandi. Basterebbe che si avvalessero della possibilità di presiedere le commissioni per gli esami di Stato. Un tempo era normale che insigni cattedratici sottraessero tempo alla ricerca per assolvere quello che era considerato un alto dovere morale.
Il ritorno dei cattedratici nelle commissioni di maturità potrebbe costituire la premessa per una nuova maturazione del rapporto fra università e scuola, a condizione, naturalmente, che lo Stato si decida ad attribuire a presidenti e commissari un adeguato riconoscimento: economico e soprattutto morale.