Corriere Fiorentino

A ciascuno il suo ocio (le varianti familiari)

REPORTAGE MARCIANO DELLA CHIANA

- Divina Vitale

La tradizione è fatta di cose semplici e sebbene tante usanze contadine siano andate perdute alcuni piatti si sono mantenuti, lottando contro il tempo e contro le nuove mode.

In tutta la Val di Chiana, era usanza festeggiar­e, a luglio, con un grande tavolo imbandito, a cui erano invitati tutti i braccianti assieme ai padroni, la fine della battitura del grano con un piatto principe: l’ocio, ovvero l’oca, l’animale più grande dell’aia. Oggi si mangia tutto l’anno solo in alcuni ristoranti, in paesi come Marciano della Chiana, Foiano della Chiana, Cesa («l’ocio cesarino» fino al dopoguerra era un prodotto allevato localmente), Monte San Savino e anche nel Basso Casentino, a Subbiano, per esempio, preparato arrosto o in porchetta, cotto nel forno a legna.

Ma l’ocio si presta a parecchie varianti come lo spezzatino per condire la pasta oppure per farne il collo ripieno. Nonostante la battitura sia una pratica ormai in disuso, solo a Ruscello si svolge una sagra rievocativ­a e continua ad essere una specialità apprezzati­ssima. «Si sacrificav­a l’animale per sfamare più bocche — racconta Massimo Giovannini dell’Osteria La Vecchia Rota — Prima della Seconda guerra mondiale veniva mangiato esclusivam­ente dal padrone o dalla famiglia del fattore del Podere, mentre ai contadini venivano dati gli avanzi delle carni, cotti in spezzatino: un piatto ormai completame­nte dimenticat­o perché, lo dico sempre, “la miseria non si lascia in eredità”. L’oca fatta a pezzi veniva cotta in un tegabili me di coccio con il pomodoro e le spezie toscane: un mix di cannella, noce moscata, cumino, chiodi di garofano e peperoncin­o. Poi, nell’ultima mezz’ora di cottura si aggiungeva­no le patate tagliate a mezzaluna e si accompagna­va tutto con del pane toscano. L’oca da arrostire veniva pulita dai contadini, su ordine della famiglia padronale e le parti meno no- dell’animale, come il collo, venivano recuperate e cotte a parte. Vi si toglieva l’osso e si bolliva, dopo un passaggio in acqua calda e aceto, assieme alle coradelle (interiora) e le zampe. Le poche carni presenti si macinavano e andavano a formare il ripieno con mollica di pane, uovo, formaggio, odori e se c’era anche una salsiccia. Infine si richiudeva il collo cucendo la pelle nelle due estremità ed era cotto nel forno a legna. Si accompagna­va con una antica salsa di agreste che si faceva raccoglien­do i grappoli d’uva, rimasti acerbi alla vendemmia, lungo i filari: i chicchi si cuocevano con la mollica di pane ammollata nell’aceto, il miele, i pinoli, sale e pepe».

«Un piatto con molteplici varianti — aggiunge Neri Guicciardi­ni del Castello di Gargonza — quasi quante sono le donne delle famiglie che abitavano i vari poderi situati nella Val di Chiana. Oltre all’oca si può utilizzare anche l’anatra o come si dice qui da noi, la Nana. È forse più tenera dell’ocio, che intorno a Gargonza, veniva più usato per il sugo. Noi seguiamo la ricetta della nonna di Susi Brogi, la cuoca del nostro ristorante. Nel battuto con cui aromatizzi­amo l’anatra mettiamo anche della mela tagliata a fettine sottili. Il forno va portato al massimo calore e poi lasciato con meno brace per una lunga cottura». «Ricordo ancora le feste nell’aia — dice Franco Donati della Corte dell’Oca — ero un bambino. Aspettavam­o intrepidi l’arrivo della macchina per battere il grano che arrivava trainata dal trattore a scoppio. Tutti i contadini dei poderi vicini si radunavano per prestare la loro opera: caricare le “manne” sulla macchina del grano che, a sua volta, separava i chicchi della spiga, dalla pianta. Il grano misurato con lo “staio” (antica unità di misura) veniva raccolto nelle balle e la pianta, essiccata al sole, prendeva la forma di una pressa di paglia, utilizzata per l’occasione come tavolo o sedia. Tutti aspettavan­o, verso mezzogiorn­o, l’arrivo del Re della tavola, sua maestà l’Ocio. Mangiavamo tagliolini col brodo d’oca, cannelloni col sugo d’ocio e alla fine l’animale al forno. Le massaie inoltre mescevano acqua fresca dal pozzo e vino infiascato nei bicchieri ai braccianti, bruciati dal sole e impolverat­i. Nel ristorante lo prepariamo su ordinazion­e perché è un piatto molto costoso e articolato, quel che è certo è che del piatto non si butta via niente!».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Susi Brogi (Castello di Gargonza)
Susi Brogi (Castello di Gargonza)
 ??  ?? Franco Donati (La Corte dell’Oca)
Franco Donati (La Corte dell’Oca)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy