L’ITALIANO? UN PROBLEMA ELEMENTARE
Il problema della conoscenza della nostra lingua, posto dall’appello dei 600 professori universitari, c’è, ed è grave, ma non solo in Italia. L’Académie Française che, a differenza dell’Accademia della Crusca, ha un potere pubblico di controllo sulla lingua, lotta senza successo contro i crescenti errori ortografici e grammaticali dei francesi. Sono possibili alcuni rapidi interventi, a partire dal rafforzamento del presidio linguistico della Crusca. E visto che gli automatismi ortografici si apprendono alla scuola primaria o mai più, il Miur dovrebbe incidere sulle elementari, anche inserendo come punto strategico nel piano nazionale di formazione degli insegnanti le competenze linguistiche e argomentative. Perché non è accettabile che ci siano giovani docenti di lettere che si vantino di non leggere libri e giornali, giustificandosi con l’appartenenza alla generazione internet. È accaduto in una scuola superiore fiorentina. Il valore dell’educazione linguistica fu ben compreso da Tullio De Mauro che ispirò e seguì a Scandicci, a partire dal 1978, sperimentazioni sulla lingua italiana per le scuole dell’infanzia e per l’educazione degli adulti, con la collaborazione di Gianni Rodari e Luciano Manzuoli, e il sostegno del Comune. De Mauro ha proseguito fino all’ultimo la sua lotta contro l’analfabetismo funzionale che, come ha ricordato Antonio Montanaro ieri su queste colonne, è il male più profondo della società italiana. Perché chi non legge e non ha cultura rimane ancorato a opinioni spesso infondate e non trasmette stimoli ai propri figli. Facciamo però attenzione a erigere barricate in difesa di una grammatica astratta e lontana. La lingua, mi insegnava il grande filologo e semiologo D’Arco Silvio Avalle, è un sistema dinamico retto da due leggi contrastanti: quella del minimo sforzo, che porta a semplificare il più possibile, e quella della crescita dell’entropia, che conduce a non comprendere più i messaggi. Chi scrisse per primo in italiano era poco colto e cercava forme ortografiche e grammaticali nuove rispetto al latino dei dotti, usando «ke», proprio come i giovani d’oggi. Siamo dinanzi a un mutamento epocale nella trasmissione della cultura, paragonabile a quello che ha portato alla scrittura, ai tempi di Platone, e alla stampa nel Rinascimento. Anche allora si gridava contro i nuovi strumenti di comunicazione. Rimpiangere il tempo antico non serve. Bisogna saper orientare i mutamenti, diffondendo quella cultura digitale che manca proprio ai giovani sempre attivi sugli smartphone e insegnando loro la varietà dei registri linguistici e delle forme di comunicazione. Puntando insomma su una cultura di base, che non si limita all’ortografia, e in certi casi può farne a meno, e facendo leva sulle forme attuali della comunicazione diffuse per lo più tramite internet. Presidiamo sì l’ortografia e la grammatica, ma cerchiamo soprattutto di formare insegnanti all’altezza delle sfide linguistiche e comunicative del nostro tempo e di contrastare il diffuso analfabetismo funzionale.