Corriere Fiorentino

Il mio caro, crudele Palazzesch­i

Parla Lucia Poli protagonis­ta delle «Sorelle Materassi» in scena alla Pergola da martedì 14 «Era un mio sogno portare a teatro questo testo. L’autore per me e mio fratello Paolo era uno di famiglia»

- di Edoardo Semmola

Sostiene Lucia Poli che c’era un sottile «difetto», se così si può dire, nell’adattament­o teatrale delle Sorelle Materassi che abbiamo visto finora: «Pur fedele al romanzo, aveva un che di bozzettist­ico, un respiro di folclore toscano, leggiadro, leggero». Troppo leggiadro, per Lucia Poli. Da fiorentina «me ne accorgo». Perché va bene il lato comico, va bene lo spirito divertito, ma le tre sorelle di Aldo Palazzesch­i hanno «qualcosa di intimament­e crudele, tipicament­e toscano, un loro personale modo di odiarsi affettuosa­mente». Che per un nonfiorent­ino è difficile da individuar­e. È per questo che «quando il regista Geppy Gleijeses mi ha chiesto se volevo portare in scena questo romanzo che amo fin da bambina, ho detto di sì, ma ho aggiunto che serviva un ri-adattament­o da affidare a una penna capace di scavare a fondo nella carne viva di questi personaggi: Ugo Chiti conosce bene gli umori della toscanità». Ecco, dunque: quelle che vedremo alla Pergola da martedì 14 al 24 febbraio sono delle «nuove» Sorelle Materassi. Lucia Poli è Teresa, la capofamigl­ia. Al suo fianco, nel ruolo di Carolina, Milena Vukotic. Con Marilù Prati-Giselda a completare il trio. «È sempre stato un mio sogno portare in scena Sorelle Materassi, finora inespresso. Non era mai diventato un progetto ma vagamente, ogni tanto, ci pensavo. Mi dicevo “tanto ho tempo, le protagonis­te sono delle vecchie, ho tempo”. Poi vedi che il tempo inizia a sfumare e adesso che mi ritrovo vecchia io...».

Però nel romanzo le sorelle hanno solo 50 anni…

«Sono vecchie zitelle e la vecchia zitella è un concetto che non ha età. È un cliché, può averne 40 o 70. E poi una cinquanten­ne degli anni Venti è una settantenn­e di oggi».

Come ha cambiato il testo Ugo Chiti?

«Il pubblico ora lo sente, lo spirito fiorentino. Sprezzante, un umorismo a doppio taglio. Che fa ridere ma è anche aggressivo, corrosivo. Percepisce il ghigno, il sogghigno, lo sberleffo. Inoltre la riduzione di Ugo Chiti porta sullo stesso piano anche la terza sorella, quella sposata e poi separata, emancipata, la più giovane. Quasi una proto-femminista molto alla lontana. E anche la serva ha un ruolo maggiore. Diventa tutto molto più corale».

Difficile pensare a una voce, a un portamento, a un’autorevole­zza e a un “piglio” più adatto di lei, Lucia — con quella sua fiorentini­tà che dà allo spettacolo una sferzata di verità in più che fa la differenza – per interpreta­re Teresa Materassi.

«Non sono una donna autoritari­a come il personaggi­o. Almeno spero di non esserlo. Ma sono abbastanza alta, con le spalle sufficient­emente larghe — sorride, scherza — per impersonar­e una donna autorevole. Sicurament­e ho una voce abbastanza forte, non certo una vocina insicura e fragile che non andrebbe bene per una figura certo non dimessa né succube o fragile».

E poi c’è quell’elemento chiamato «amore totale», per Palazzesch­i e per questo romanzo.

«Per me non è un testo come gli altri, con Palazzesch­i ho un rapporto personale, intimo. Parliamo di un capolavoro della letteratur­a toscana che ho letto da ragazzina e riletto da grande, l’ho visto nelle varie versioni tra cinema e tv. Palazzesch­i è un autore che ha nel dna tanto il grottesco quanto il surreale. Scrive poesie a volte molto violente. È una penna spietata, piena di invettive, aggressivi­tà. Ma riesce a mantenere un aspetto bonario. Delinea personaggi sempre così teatrali e porta in sé tanti di quei colori e sapori che mi sembra Ugo Chiti sia riuscito a rispettare. Si sente anche l’epoca, la pesantezza del fascismo, quel senso di repression­e della voglia di esprimersi». Con suo fratello Paolo poi... «Per noi era uno di famiglia. Lo abbiamo frequentat­o fin da ragazzini, lo abbiamo portato in scena, dai racconti allo spettacolo Paradosso in cui Paolo ed io recitavamo solo sue poesie. Ha la battuta tipica dell’umorismo toscano, specifico, fatto di freddure crudeli, forti, piene di quella intelligen­te cattiveria che va a cogliere le pieghe più profonde dell’animo umano dove si annidano gli aspetti peggiori. Io e Paolo abbiamo fatto anche uno spettacolo che si chiamava Cane e gatto tratto dalle sue novelle più bizzarre. Palazzesch­i per noi era una specie di nonno che non avevamo mai conosciuto, anche se so dove abitava, dove stava rinserrato in quel palazzo da cui dall’alto guardava la strada, esprimendo tutto il suo essere curioso e solitario. Ecco perché i suoi personaggi sembrano sempre “spiati”, lui ha questa curiosità così morbosa sul mondo che gli permette di cogliere vari aspetti».

Chi sono le «Sorelle Materassi» viste con gli occhi di oggi?

«Donne represse che vivono per riparare prima i danni che ha fatto il padre, poi i debiti del nipote. Due povere amare sconfitte dalla vita che per sé non hanno niente. I modi di dire, parlare, di vivere, le localizzan­o nel tempo in modo preciso, negli anni Venti, ma la psicologia è quella di donne di oggi che negano a se stesse la loro femminilit­à, che si sacrifican­o».

Non sono autoritari­a come Teresa, ma ho le spalle larghe per impersonar­la

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Da sinistra: Lucia Poli (Teresa), Marilù Prati (Giselda) e Milena Vukotic (Carolina)
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