Corriere Fiorentino

Un solo giorno che si ripete In attesa sulle poltrone verdi

- di Giulio Gori

Nella grande stanza delle riunioni, tra le poltroncin­e in vellutino verde stile cinematogr­afo, c’è un narghilè spento, un tavolino con una bottiglia di aranciata e dei bicchieri di plastica. Attorno, una decina di somali, in silenzio, ognuno con il capo chino sul proprio cellulare. Altri sono in corridoio, sulla porta d’ingresso, chiacchier­ano, salutano chi entra e esce. Al convitto dei gesuiti di via Spaventa, molti dei somali che stanno occupando passano il pomeriggio là dentro. In attesa.

«Vogliamo lavorare — dicono — ma nessuno di noi ha un lavoro, nessuno ce lo dà». In due rientrano con le scarpe coperte di fango, sono appena tornati da una giornata di fatica in un terreno agricolo. Raccontano di aver ottenuto un contratto. Ma molti altri neppure escono per cercare qualcosa da fare. Aspettano.

«L’anno scorso ho fatto volantinag­gio per diversi mesi — spiega uno degli occupanti — Non mi hanno mai pagato». È rassegnato. E tanti come lui: «Io ho vissuto in Norvegia, lavoravo, poi mi hanno rimandato in Italia», spiega un ragazzo. Dieci giorni fa tutti raccontava­no di volersene andare dall’Italia. Ora più di uno dice di aver cambiato idea: «Voglio stare qui, basta che mi diano un lavoro». Per loro questi mesi sono il momento peggiore: non è tempo di vendemmia, né di raccolta delle olive. E ora che con l’incendio dell’ex Aiazzone sono lontani dall’Osmannoro non ci sono più neppure i laboratori cinesi a farli lavorare a ore per pochi spiccioli. Dopo i ripetuti appelli di padre Ennio Brovedani, il gesuita che li ospital nell’ex convitto di via Spaventa, negli ultimi giorni stanno arrivando cibo, cassette della frutta, calzini, coperte. Il religioso, con alcuni suoi collaborat­ori, continua ogni giorno a fare un po’ di spesa per i suoi «ospiti»: scatolame, tonno, ceci, cose che non hanno bisogno di essere cucinate. Anche perché in via Spaventa non si può. Non c’è riscaldame­nto, spesso salta anche la luce perché con il centinaio di occupanti sono troppi gli apparecchi attaccati alla corrente.

A volte anche consegnare il cibo diventa complicato. Alle undici di mattina, da dietro le porte delle stanze con le porte chiuse a chiave, c’è chi non risponde, chi lo fa con molta calma, chi esce in mutande e ciabatte, chi con lo spazzolino da denti in bocca. Alcuni infatti dormono fino a tardi, si alzano poco prima di mezzogiorn­o. Poi quasi tutti vanno a pranzo in via Baracca alla mensa della Caritas. E quindi rientrano in via Spaventa e ricomincia­no ad aspettare, fino alla cena che padre Brovedani si è procurato. Nelle stanze, i letti sono pochissimi. Quasi tutti dormono su materassi appoggiati per terra.

È difficile capire quello che sentono, quello che pensano e che intendono fare, gran parte dei somali di via Spaventa parla malissimo l’italiano. Nelle camere, almeno in quelle in cui ci siamo potuti affacciare, non c’è traccia di un libro, di un manuale di lingua. Nelle aree comuni di solito è tutto pulito, il convitto è trattato con rispetto, nei corridoi non c’è niente a terra, nel bagno c’è un centimetro d’acqua, ma si vede che qualcuno ha tirato una secchiata per pulire. Però con l’arrivo delle cassette di frutta, che i somali conservano impilate nelle camere, le bucce delle arance hanno completame­nte invaso le scale. Due occupanti rientrano con la birra in mano, ma gli altri li fermano. L’alcol nel convitto occupato non può entrare. Lo dice l’Islam.

Ma quanti sono gli occupanti somali? «Siamo 95», raccontano. A padre Brovedani un giorno hanno raccontato di essere in 58, un altro giorno in 150. Il religioso da giorni ha chiesto un elenco preciso con nomi e cognomi di tutti i presenti. Un modo per mettere un punto e evitare che l’occupazion­e ingrossi via via le sue fila con nuovi (e sconosciut­i) arrivati. Per fare quel censimento basterebbe­ro poche ore. Ma anche in questo caso c’è da aspettare.

Senza lavoro Tanti si alzano tardi, pranzano alla Caritas, cenano con quello che porta il gesuita

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Uno degli occupanti di via Spaventa su un letto di fortuna
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Le poltroncin­e verdi della sala riunioni dell’ex convitto

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