Corriere Fiorentino

Le nonne che hanno adottato i profughi

Il progetto dell’Aics. Le anziane: cucinano per noi e ci accompagna­no a messa

- Jacopo Storni

«Amadou è diventato il bastone della mia vecchiaia». Mirella, 96 anni, non avrebbe mai pensato di legarsi così tanto a questo ragazzo con la pelle nera. Era sospettosa, all’inizio. Adesso, invece, questo giovane richiedent­e asilo è come un nipote. E lei come una nonna. Si prendono a braccetto, giocano a carte, mangiano allo stesso tavolo, chiacchier­ano ore intere, passeggian­o insieme, lui le sorregge il carrello per camminare, lei ricambia coi sorrisi. Non è successo soltanto a Mirella, ma a decine di anziane della parrocchia Santa Maria a Coverciano, nell’ambito del progetto sociale promosso dall’Aics con i profughi ospitati all’Ostello Villa Camerata.

Mirella si è particolar­mente affezionat­a ad Amadou, Gina, 92 anni, ha legato col senegalese Abdu e l’ivoriano Ismael. Mariella, 70 anni, è diventata amica del nigeriano Kabir e del ghanese Steven. Un progetto unico, nato la scorsa estate, quando i migranti hanno condiviso una settimana di vacanza con le signore anziane nella residenza estiva di San Casciano a Macerata. Un’esperienza pilota, dove i migranti sono parte attiva dell’organizzaz­ione del progetto, e che si ripeterà anche la prossima estate. Un’esperienza che ha avviato una frequentaz­ione costante tra profughi africani e anziane fiorentine. Il sabato c’è il pranzo comune. I migranti cucinano le prelibatez­ze delle loro terre all’Ostello Camerata, le anziane assaggiano con gusto sapori inediti. «All’inizio quel cibo ci spaventava, oggi abbiamo cambiato idea e vorremmo imparare a mangiarlo con le mani, proprio come fanno loro». Parlano spesso di religione. Musulmani e cristiani insieme. I richiedent­i asilo accompagna­no le nonne adottive alla messa. «Le prime volte volevano entrare in chiesa scalzi, pensando che la tradizione islamica valesse anche per i nostri luoghi di culto». Mirella, saggia e ironica, ha insegnato le parolacce ad Amadou: «L’ho fatto perché così impara a difendersi, lui però mi ha detto che preferisce difendersi col silenzio. È stata una bella lezione». E poi i racconti delle nonne, strumenti indispensa­bili per insegnare ai migranti l’italiano: «Raccontiam­o loro il nostro passato, la storia delle due guerre mondiali che abbiamo vissuto sulla nostra pelle».

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