Sui viali solo fiori e prati, attraversati da un tram
Leonardo Gori e la sua città: ricordi d’infanzia, desideri per il futuro «Mi mancano i profumi delle vecchie latterie, ora vorrei più umanità»
Leonardo Gori è un caro amico, bravissimo narratore. Abbiamo quasi la stessa età e da quasi vent’anni affrontiamo le nostre avventure editoriali. Abbiamo partecipato insieme a diverse antologie, abbiamo scritto un romanzo a quattro mani (Bloody Mary Einaudi), e soprattutto i nostri personaggi seriali sono amici come lo siamo noi. Il colonnello Arcieri e il commissario Bordelli, anche se si danno ancora del lei (e forse lo faranno sempre) si trovano spesso per bere un bicchiere di buon vino e ricordare il passato… senza risparmiare i fantasmi. La serie di Arcieri è approdata a Tea edizioni, l’ultimo romanzo uscito si intitola Non è tempo di morire e a febbraio uscirà, completamente riscritto, Musica nera. Incontro Leonardo a casa sua, alta sulle «colline del centro» di Firenze, dalle cui finestre si può ammirare la meravigliosa facciata della chiesa più bella del mondo (parola di Bordelli): San Miniato al Monte.
Ciao Leonardo, tu scrivi prevalentemente storie ambientate nel passato… Cos’è che ti manca di più della Firenze della tua infanzia?
«Oggi ho pranzato alla trattoria Cent’Ori. Al tavolo davanti al mio c’era Don Gamucci, il parroco di San Niccolò, con degli amici. Un bel gruppo, mi dava conforto. È stato inevitabile pensare a quando da bambino lo sentivo tuona- re, in chiesa. Scendevo in città passando proprio di lì, per mano a mio padre. Facciamo un anno a caso, il 1965. Attraversavo l’Arno sul ponte alle Grazie. In centro c’erano ovunque botteghe di artigiani e piccoli e grandi negozi. Mi mancano, di quel tempo remoto, soprattutto le latterie. Erano tutte bianche e azzurre e ci si respirava un profumo particolare. Te le ricordi? Mi davano l’illusione della tranquillità e della sicurezza, quella delle piccole cose. Ecco, della Firenze della mia infanzia mi manca proprio quel senso di laborioso nitore, di complessità e di semplicità. E la mano fresca e forte di mio padre, naturalmente».
Anche io mi ricordo bene quei tempi, il ritmo di vita diverso, più lento, e come dici tu una semplicità rassicurante, anche se forse sono ricordi influenzati dalla una visione infantile… Ti ricordi un aneddoto particolare della tua vita che racconta bene quell’epoca?
«Sì, c’è un ricordo che mi perseguita piacevolmente da oltre mezzo secolo. Ero sempre con mio padre, sotto i portici di Piazza della Repubblica. Mi pare che fossimo vicini a Natale. Incontrammo un suo vecchio amico che stava a Siena, una bella combinazione, e si abbracciarono. L’amico, il Francioni, gli chiese che cosa avesse, perché mio padre si faceva governare spesso dai pensieri cupi. Non ricordo quale fu la risposta. Ma mi colpì tanto quel che gli disse il suo amico: “Gigi, è una giornata splendida e siamo nella città più bella del mondo. Che altro importa?” In quel momento, passò un uomo in bicicletta, e cantava. Hai ragione, ci facciamo condizionare dalla nostalgia, dai ricordi d’infanzia. Ma oggi chi canterebbe mai, in piazza? Non fischiettano nemmeno più».
In effetti, è spesso nelle cose più semplici che si colgono i cambiamenti più profondi. Senza allontanarci troppo dall’argomento, quali sono secondo te le differenze fondamentali tra quella Firenze e quella di oggi?
«C’erano grandi persone e grandi cose. Mi ricordo Giorgio La Pira, che non era amato da tutti, anzi qualcuno trovava il suo idealismo campato per aria, ma dialogava davvero col mondo, come prima di lui altri fiorentini di nascita o di Protagonista Leonardo Gori nella sua casa sui colli fiorentini da cui si vede la facciata di San Miniato (foto: Garosi/Sestini) cuore come Steinhaulsin o Berenson. Quella semplicità di cui dicevamo prima, non era affatto banalità o volgarità, anzi era complementare al respiro internazionale dalla cultura cittadina. Era una Firenze solidale, con tanti problemi ma senza vera angoscia. A costo di apparire scontato, non posso evitare di dire che è scomparso quel fittissimo tessuto sociale che si incardinava nella topografia dei quartieri, dei rioni: negli anni Sessanta in San Frediano si parlava con un accento diverso da quello di Piazza del Duomo o delle Cure. Era una meravigliosa complessità, in una città apparentemente più semplice di quella di oggi. Firenze esprime ancora cose notevoli, ma è coperta da un tappeto di volgarità becera che a volte la soffoca.
Come vedi la Firenze del futuro? Nei due sensi: come vorresti che diventasse e come a tuo parere è destinata a diventare.
«Vorrei che Firenze diventasse una città moderna, ma che riuscisse a recuperare e a mantenere la sua dimensione umana, come un equilibrista sul filo. Mi piacerebbe che il suo destino non fosse quello di un minuscolo e anonimo frammento di villaggio globale, ma di una vera città aperta al mondo. Se provo a indovinare il futuro, vedo incertezza tra due scenari contrastanti: un luna park per turisti frettolosi, avidi di panini e di vino dozzinale, e una città che si sta miracolosamente scrollando di dosso decenni di immobilismo. Mi riferisco a opere pubbliche e infrastrutture fatte anche a dispetto di tanti fiorentini, magari me compreso, in certi casi. D’altronde è tradizione, no? Dai tempi di Filippo Argenti e del padre Dante...».
Adesso divertiamoci con la fantasia… Se tu avessi la lampada di Aladino e potessi esprimere un solo desiderio per Firenze, anche impossibile da realizzare, cosa chiederesti?
«Se avessi al mio servizio il genio della lampada, sfrutterei l’occasione fino in fondo. Chiuderei al traffico i viali di circonvallazione e ci farei dei giardini bellissimi, con grandi serre per l’inverno e prati a non finire per l’estate. E dei boschetti intorno alle torri medievali della cinta muraria, che adesso annegano nel fiume delle auto. Te lo immagini, un immenso nastro di verde come questo, a primavera, incendiato di fiori? Lo farei percorrere senza sosta nei due sensi dal tram, quello leggero tolto nel 1957, integrato con le attuali linee della tranvia e con allegre cremagliere o funivie verso le colline più ripide, per quando sarò vecchio davvero e non potrò fare le salite a piedi. Ma forse, al genio di Aladino, chiederei anche meno. Gli chiederei di tornare all’agosto del 1944 e sminare Via Por Santa Maria, il Lungarno Acciaioli, Borgo San Iacopo»...
4. Continua. Le precedenti puntate sono state uscite il 9 e il 27 dicembre 2016 e il 28 gennaio 2017.