Corriere Fiorentino

ALLA PROVA DEI SOMALI

- di Riccardo Saccenti

La vicenda dei circa cento rifugiati somali del convitto dei Gesuiti ha toccato l’opinione pubblica e alimentato prese di posizione e motivazion­i assai diverse. Da un lato si è guardato alla vicenda in chiave tutta politica. Sia il movimento per la casa che altre forze politiche, con motivazion­i diverse e talvolta opposte, hanno fatto della vicenda una sorta di esemplific­azione delle proprie ragioni. Dall’altro lato la risposta istituzion­ale, che è emersa nei giorni immediatam­ente successivi all’occupazion­e dei locali dell’ex convento dei Gesuiti, è stata quella di un richiamo ad una rigida legalità, che dell’occupazion­e dei locali di via Spaventa ha dato una lettura in termini di ordine pubblico.

Rispetto a queste due posizioni l’atteggiame­nto di chi è responsabi­le della struttura dove ora si trovano i rifugiati somali, padre Ennio Brovedani, appare improntato ad una logica e ad una visione delle cose del tutto diversa. La scelta di non chiedere formalment­e la fine dell’occupazion­e mette in discussion­e una legalità intesa come un tentativo di calare la lettera della legge nella realtà senza mediazione alcuna; prospettiv­a per altro assai difficile da realizzare e che appare contraria alla natura stessa della legge e del diritto.

Accanto a questo, l’aver accolto i cento somali, il cercare con loro un dialogo e un rapporto quotidiano, il chiedere l’aiuto dei fedeli per le loro necessità, mette al centro di questa vicenda le storie e i bisogni di quelle persone, svelando l’equivoco di un’occupazion­e, questa sì abusiva, da parte di certa politica, delle motivazion­i che sono dietro al gesto dei rifugiati.

Al di là delle discussion­i e delle polemiche, tutto questo rappresent­a una sfida per Firenze. Più ancora, è il banco di prova per la città e per la sua Chiesa su cui si misura la capacità di affrontare l’oggi e la realtà di un mondo in cui ad avere la meglio sembra essere la logica della paura. Le frontiere che si chiudono, i muri che si alzano, le grida che invocano un ritorno alla sovranità degli stati come un assoluto da preservare, gli slogan che invitano a impostare le politiche sulla base di classifich­e di nazionalit­à quando non di religione, non sono solo notizie o parole consegnate alla lettura dei quotidiani.

Tutto questo si ritrova, in un modo o nell’altro, nella vicenda del convitto dei Gesuiti e con essa entra nella storia e nella vita della città.

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