ALLA PROVA DEI SOMALI
La vicenda dei circa cento rifugiati somali del convitto dei Gesuiti ha toccato l’opinione pubblica e alimentato prese di posizione e motivazioni assai diverse. Da un lato si è guardato alla vicenda in chiave tutta politica. Sia il movimento per la casa che altre forze politiche, con motivazioni diverse e talvolta opposte, hanno fatto della vicenda una sorta di esemplificazione delle proprie ragioni. Dall’altro lato la risposta istituzionale, che è emersa nei giorni immediatamente successivi all’occupazione dei locali dell’ex convento dei Gesuiti, è stata quella di un richiamo ad una rigida legalità, che dell’occupazione dei locali di via Spaventa ha dato una lettura in termini di ordine pubblico.
Rispetto a queste due posizioni l’atteggiamento di chi è responsabile della struttura dove ora si trovano i rifugiati somali, padre Ennio Brovedani, appare improntato ad una logica e ad una visione delle cose del tutto diversa. La scelta di non chiedere formalmente la fine dell’occupazione mette in discussione una legalità intesa come un tentativo di calare la lettera della legge nella realtà senza mediazione alcuna; prospettiva per altro assai difficile da realizzare e che appare contraria alla natura stessa della legge e del diritto.
Accanto a questo, l’aver accolto i cento somali, il cercare con loro un dialogo e un rapporto quotidiano, il chiedere l’aiuto dei fedeli per le loro necessità, mette al centro di questa vicenda le storie e i bisogni di quelle persone, svelando l’equivoco di un’occupazione, questa sì abusiva, da parte di certa politica, delle motivazioni che sono dietro al gesto dei rifugiati.
Al di là delle discussioni e delle polemiche, tutto questo rappresenta una sfida per Firenze. Più ancora, è il banco di prova per la città e per la sua Chiesa su cui si misura la capacità di affrontare l’oggi e la realtà di un mondo in cui ad avere la meglio sembra essere la logica della paura. Le frontiere che si chiudono, i muri che si alzano, le grida che invocano un ritorno alla sovranità degli stati come un assoluto da preservare, gli slogan che invitano a impostare le politiche sulla base di classifiche di nazionalità quando non di religione, non sono solo notizie o parole consegnate alla lettura dei quotidiani.
Tutto questo si ritrova, in un modo o nell’altro, nella vicenda del convitto dei Gesuiti e con essa entra nella storia e nella vita della città.