MEGLIO MEDIARE CHE SPARIRE
Chiunque abbia presente la situazione dell’Italia non può che auspicare un sussulto di responsabilità da parte delle forze politiche. Tale richiesta deve essere rivolta a chi, oggi, ha un ruolo centrale: parliamo, ovviamente, del Pd, della sua classe dirigente e della possibile (ennesima) scissione nella storia della sinistra italiana. Le scissioni non hanno mai portato bene a nessuno dei partiti che ne sono stati protagonisti, soprattutto non hanno mai rappresentato alcun vantaggio per il Paese. Renzi, dopo la sconfitta del referendum del 4 dicembre, ripropone la sua sfida nel congresso che avrà inizio fra pochi giorni. L’ex sindaco di Firenze ha il dovere di cercare di impedire che si realizzi una rottura che non solo indebolirebbe il suo partito, ma che metterebbe a rischio la tenuta democratica dell’Italia. Ciò non significa che debba sconfessare le cose utili che il suo governo ha fatto, semmai gli impone correggere gli errori che ha compiuto, senza sottovalutare gli elementi nuovi di disagio sociale. Per i suoi avversari interni vale lo stesso ragionamento: non si tratta di rinunziare a visioni diverse, ma di comprendere che una scissione non farebbe altro che distruggere le possibilità di tutti di fronteggiare quei fenomeni populistici di cui, purtroppo, rigurgita l’Europa e non solo. In una parola, dopo il tramonto del sistema maggioritario che ci ha accompagnato nei vent’anni passati e nel prendere atto del mutamento intervenuto, il Pd deve porsi l’obiettivo di restare comunque il partito maggiore, per poter essere determinante nel futuro politico nazionale. C’è da sperare che i diversi leader del Pd si sentano davvero classe dirigente e non pezzi di una nomenclatura rissosa. In tal senso può assumere una particolare importanza il ruolo di Enrico Rossi che, al di là delle più o meno modeste chance nella competizione per la segreteria del Pd, sarebbe probabilmente nella condizione di giocare davvero la parte del mediatore fra Renzi e chi lo sostiene e il fronte degli avversari interni. Sarebbe in grado di fare quello che si è detto solo se, pur rimanendo contrario al leader uscente, rendesse chiara e definitiva la propria opposizione a qualsiasi ipotesi di scissione, ponendosi come ponte fra i due fronti in contrasto, al fine di conservare l’unità dei democratici. Del resto, se non facesse una scelta come quella che abbiamo descritto, al massimo potrebbe aspirare ad una parte di comprimario di un’area più o meno residuale, con una qualche percentuale di voti utile a Grillo o a Salvini, di sicuro non ad una sinistra in grado di riproporsi come forza di governo.