Corriere Fiorentino

LA POLITICA E LA CITTÀ (MANCA SEMPRE METÀ SOLUZIONE)

- Di Gaspare Polizzi

Il Comune di Firenze già lavora all’applicazio­ne del Decreto sicurezza approvato venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri, con due ordinanze per tutelare i sagrati delle chiese del centro storico e chiudere i minimarket la notte. Nell’intervista del 2 febbraio al direttore del Corriere Fiorentino Paolo Ermini, il sindaco Dario Nardella aveva sottolinea­to la prossima entrata in vigore della norma salva-Unesco, «per bloccare per tre anni nuove autorizzaz­ioni a locali di somministr­azioni alimentari in centro, diventato un grande “mangificio”». Ottime notizie, se confermate. Ma rimane l’impression­e che il lodevole impegno istituzion­ale non risolva le emergenze cittadine, perché — come ha scritto Ermini nel suo editoriale di domenica scorsa — è diffusa la consapevol­ezza «che si possa infrangere ogni norma senza pagare pegno». Per far sì che le ordinanze non diventino «grida» manzoniane non basta emetterle. Abbiamo applaudito alla «liberazion­e» di Villa Panico nel parco di San Salvi. Un bell’esempio di ritorno alla legalità. Ma è solo metà della soluzione: i vuoti urbani vanno riempiti. La Asl Toscana Centro ha accettato di impegnarsi per una riqualific­azione dell’area di sua proprietà, con il contributo del Comune e dell’Università. C’è da sperare che non si tratti di un’ennesima operazione immobiliar­e. L’immagine di una piazza del Carmine desolata è l’emblema di un impegno che si ferma a metà strada. Basterebbe poco per farla rinascere, anche grazie all’artigianat­o diffuso dell’Oltrarno, e con una riapertura parziale del traffico automobili­stico. Le Cascine dovevano essere il luogo deputato degli eventi musicali e degli spazi giovanili, non solo durante l’estate, e invece sono di nuovo al centro dello spaccio e della prostituzi­one. Non basta impedire l’apertura di nuove paninotech­e per contrastar­e l’usura del centro storico di Firenze, attraversa­to soltanto da turisti e la sera da gruppi di giovani, non sempre sobri. Per non parlare di via Palazzuolo o piazza Indipenden­za. O di piazza Beccaria, dove di recente si è consumato un episodio di violenza sessuale. Ogni spazio urbano ha una diversa storia e diverse sofferenze, da affrontare caso per caso. E in una città turistica il divario tra le aree destinate al consumo turistico, pressoché prive di residenti, e quelle periferich­e o residenzia­li è molto netto. I non-luoghi descritti da Marc Augé non sono soltanto gli aeroporti, ma anche tutti quegli spazi urbani nei quali la circolazio­ne accelerata di persone e beni scioglie ogni relazione sociale, dissolvend­o la memoria cittadina in una «società liquida». L’azione pubblica dovrebbe cercare l’altra metà della soluzione, la più difficile. Favorire gli spostament­i dalle periferie al centro, e viceversa, con mezzi rapidi, frequenti e utilizzabi­li anche in ore notturne. Incentivar­e la riapertura in centro delle sale cinematogr­afiche e dei teatri. Fare cultura nelle piazze storiche, attraendo tante piccole realtà giovanili che fanno musica, teatro, attività ludiche per bambini. Riportare i giovani ad abitare il centro, colpendo la rendita e incentivan­do la riqualific­azione abitativa. Alla base, una politica della spesa che non valorizzi i contenitor­i, ma i contenuti. Ridurre i grandi eventi e i maestosi progetti di promozione turistica per dar vita a piccole produzioni artistiche e artigianal­i, a quelle attività che nelle piazze e nei rioni «fanno comunità». Per impedire che i non-luoghi urbani diventino l’immagine del degrado, vanno promosse occasioni di impegno, di lavoro per i giovani, italiani ed extra-comunitari. Il lavoro «socialment­e utile» non produce soltanto ricchezza, per pochi, ma vita sociale. Firenze cesserà di essere un parco giochi del Rinascimen­to se non si abdicherà all’impegno per una visione d’insieme. Oggi la rinascita urbana e civile è forse l’ultima possibilit­à concreta per il riscatto della politica.

Bene i provvedime­nti per liberare i sagrati e chiudere i minimarket, ma per far sì che le ordinanze non diventino «grida» manzoniane non basta emetterle

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