«Fascisti e marxisti? Progenitori del Sessantotto»
«Sia Mussolini che Togliatti seppero gestire sapientemente il mito della rivoluzione. Fu da essi strumentalmente utilizzato per ragioni di consenso e di potere: cavalcato o accantonato a seconda dei tempi e delle circostanze».
Ad affermarlo è Paolo Buchignani nel suo recentissimo libro: Ribelli d’Italia. Il sogno della rivoluzione da Mazzini alle brigate rosse edito da Marsilio. Il volume dello storico lucchese, docente di storia contemporanea all’Università per stranieri di Reggio Calabria, sarà presentato domani alle 15 alla prima edizione di Firenze Libro Aperto che si tiene alla Fortezza da Basso. Una tesi forte quella di Buchignani basata sull’idea che tanto il capo del fascismo quanto il leader comunista seppero agitare il vessillo della rivoluzione senza mai portarla in fondo.
Insomma più ribellione che rivoluzione. Quello che i due nemici avevano in comune era il disprezzo per la democrazia liberale e borghese. Il loro sogno era quello di formare l’uomo nuovo e un nuovo ordine. Un mito pervasivo che ha attraversato epoche storiche e ha infiammato famiglie politiche di destra e di sinistra, anche se, precisa Buchignani, queste categorie non esauriscono la complessità del sogno rivoluzionario. «Il fascismo e anche il comunismo, hanno avuto un carattere populista — continua lo storico lucchese — ei populisti interpretano il popolo come un blocco unico, omogeneo, che quindi può benissimo essere rappresentato da una sola persona».
Ma è la crisi della democrazia che alimenta il populismo e anche il sogno rivoluzionario...
«È così, la crisi delle democrazie porta all’affermarsi di regimi totalitari e/o populisti. Diciamo che si tratta di risposte sbagliate a crisi reali. Come disse il politologo Nicola Matteucci le rivolte populiste si fondano su idee semplici e passioni elementari».
Rivoluzionari contro riformisti. In fondo il Novecento è stato attraversato da queste due correnti, compreso il Sessantotto.
«Gli studenti che nel Sessantotto criticavano per l’appunto l’apparato del Pci accusandolo di aver tradito la rivoluzione marxista, volevano tutto e subito. In questo possiamo rintracciare i loro progenitori nei fascisti rivoluzionari e nei marxisti».
Parlando del ‘68 non si può fare a meno di ricordare che Pisa fu uno degli epicentri del movimento.
«Pisa ha avuto un ruolo di primo piano. Ma anche Firenze, dove purtroppo dieci anni dopo si vedranno comparire le brigate rosse. Potere Operaio, di Adriano Sofri e Lotta Continua ebbero il loro epicentro a Pisa».
I documenti usciti dagli atenei pisani, il mito dell’assemblea, che le Università toscane hanno conosciuto e praticato, furono una delle basi della rivolta.
«Esattamente. Gli studenti leggevano Marcuse, Che Guevara, erano affascinati dal sogno della rivoluzione».
Anche il mondo cattolico fu coinvolto nell’idea di rivoluzionare certi schemi.
«Certamente, per restare alla Toscana ci sono figure significative. A Firenze ci sono stati Giorgio La Pira, Don Giulio Facibeni, Don Ciotti e la comunità dell’Isolotto. La differenza con gli altri è che mentre i sessantottini così come i rivoluzionari che li hanno preceduti, avevano ben precisa l’idea di creare il paradiso in terra. Per il mondo cattolico naturalmente non poteva essere così».