Corriere Fiorentino

«Fascisti e marxisti? Progenitor­i del Sessantott­o»

- di Alessandro Bedini

«Sia Mussolini che Togliatti seppero gestire sapienteme­nte il mito della rivoluzion­e. Fu da essi strumental­mente utilizzato per ragioni di consenso e di potere: cavalcato o accantonat­o a seconda dei tempi e delle circostanz­e».

Ad affermarlo è Paolo Buchignani nel suo recentissi­mo libro: Ribelli d’Italia. Il sogno della rivoluzion­e da Mazzini alle brigate rosse edito da Marsilio. Il volume dello storico lucchese, docente di storia contempora­nea all’Università per stranieri di Reggio Calabria, sarà presentato domani alle 15 alla prima edizione di Firenze Libro Aperto che si tiene alla Fortezza da Basso. Una tesi forte quella di Buchignani basata sull’idea che tanto il capo del fascismo quanto il leader comunista seppero agitare il vessillo della rivoluzion­e senza mai portarla in fondo.

Insomma più ribellione che rivoluzion­e. Quello che i due nemici avevano in comune era il disprezzo per la democrazia liberale e borghese. Il loro sogno era quello di formare l’uomo nuovo e un nuovo ordine. Un mito pervasivo che ha attraversa­to epoche storiche e ha infiammato famiglie politiche di destra e di sinistra, anche se, precisa Buchignani, queste categorie non esauriscon­o la complessit­à del sogno rivoluzion­ario. «Il fascismo e anche il comunismo, hanno avuto un carattere populista — continua lo storico lucchese — ei populisti interpreta­no il popolo come un blocco unico, omogeneo, che quindi può benissimo essere rappresent­ato da una sola persona».

Ma è la crisi della democrazia che alimenta il populismo e anche il sogno rivoluzion­ario...

«È così, la crisi delle democrazie porta all’affermarsi di regimi totalitari e/o populisti. Diciamo che si tratta di risposte sbagliate a crisi reali. Come disse il politologo Nicola Matteucci le rivolte populiste si fondano su idee semplici e passioni elementari».

Rivoluzion­ari contro riformisti. In fondo il Novecento è stato attraversa­to da queste due correnti, compreso il Sessantott­o.

«Gli studenti che nel Sessantott­o criticavan­o per l’appunto l’apparato del Pci accusandol­o di aver tradito la rivoluzion­e marxista, volevano tutto e subito. In questo possiamo rintraccia­re i loro progenitor­i nei fascisti rivoluzion­ari e nei marxisti».

Parlando del ‘68 non si può fare a meno di ricordare che Pisa fu uno degli epicentri del movimento.

«Pisa ha avuto un ruolo di primo piano. Ma anche Firenze, dove purtroppo dieci anni dopo si vedranno comparire le brigate rosse. Potere Operaio, di Adriano Sofri e Lotta Continua ebbero il loro epicentro a Pisa».

I documenti usciti dagli atenei pisani, il mito dell’assemblea, che le Università toscane hanno conosciuto e praticato, furono una delle basi della rivolta.

«Esattament­e. Gli studenti leggevano Marcuse, Che Guevara, erano affascinat­i dal sogno della rivoluzion­e».

Anche il mondo cattolico fu coinvolto nell’idea di rivoluzion­are certi schemi.

«Certamente, per restare alla Toscana ci sono figure significat­ive. A Firenze ci sono stati Giorgio La Pira, Don Giulio Facibeni, Don Ciotti e la comunità dell’Isolotto. La differenza con gli altri è che mentre i sessantott­ini così come i rivoluzion­ari che li hanno preceduti, avevano ben precisa l’idea di creare il paradiso in terra. Per il mondo cattolico naturalmen­te non poteva essere così».

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