TUTTO SU RAVA IL FILM AL RITMO JAZZ
Domani e domenica l’anteprima del documentario di Monica Affatato Il racconto con rari filmati del mitico trombettista tra amici, concerti, viaggi «A 21 anni non pensavo di fare il musicista, ma un incontro cambiò tutto»
Lo guardi in faccia con i suoi occhi a lampadina, naso e mento appuntiti e con i baffi che sembrano manopole di una moto, e gli senti dire che «quando ero ragazzino sognare di fare il jazzista era come sognare di fare il cowboy». E già lo immagini, il piccolo Enrico Rava nella Torino anni ‘50, con la fondina legata alla coscia e dentro, al posto della pistola, una tromba. Lo ritrovi a New York con Steve Lacy e Miles Davis e a Bunos Aires con Gato Barbieri; prima in una scuola del sud statunitense fresco di abolizione della segregazione razziale come unico bianco di un’orchestra che inneggia a Martin Luther King e poi mezzo hippie nel ’68 convinto che il free jazz sia il Sessantotto della musica. Che poi è stato anche vero. Lo guardi, lungo quasi due ore di film, e capisci come raramente accade cosa sia il jazz nel suo senso più intimo. È Note necessarie, il documentario di Monica Affatato sulla vita di Enrico Rava, il più grande trombettista italiano da mezzo secolo, 77 anni e ancora in attività. Domani e domenica (ore 21) in anteprima nazionale all’Odeon. Tra due settimane nelle sale.
Il film è un gioiello: gli amanti del jazz si scioglieranno nel vedere Michel Petrucciani o Stefano Bollani che prende in giro Rava, facendogli il verso. Chi non lo conosce si chiederà cosa ci faccia un artista di fama mondiale come Michelangelo Pistoletto a raccontare le gesta di un trombettista. O perché mai Altan abbia voluto creare un fumetto tutto su di lui. Vedrà Enrico Rava raccontato con lo stile avvincente di un film d’avventura e l’accuratezza di un documentario musicale. Che quasi sembra una rockstar «anche se non vedo la limousine, né l’aereo personale e nemmeno le folle sotto l’albergo — scherza Rava alla vigilia dell’uscita del film — Come rockstar sarei stato da quattro soldi».
La regista «ha trovato materiali d’archivio rarissimi che nemmeno io avrei saputo reperire e la ringrazio per avermi fatto rivedere giovane». La sua personalità ti prende perché spiazza: «Odio suonare la tromba da solo ma ho dovuto perché purtroppo non so suonare bene il piano» dice uno dei migliori trombettisti al mondo. Il tono, a volte, è surreale. «Non si studiava, non si andava a scuola, Gato Barbieri è stata la nostra università. E Gato non parlava, non lasciava nulla di scritto. Suonava e basta». All’epoca «avevo 21 anni, l’idea di fare il musicista di mestiere nemme-
no mi passava per la testa, suonavo da amatore e lui mi ha portato dentro il suo gruppo per nove mesi». Una gestazione. Ci sono le vecchie glorie che raccontano la sua poliedrica personalità. E i suoi studenti, soprattutto di Siena Jazz. «Ho appreso la lezione di Duke Ellington e Miles: che non c’è niente che faccia più bene alla musica di lasciare ai tuoi compagni di viaggio la massima libertà. Solo che quasi nessuno la applica». Nel film manca una sola cosa importante: il suo amico e maestro Joao Gilberto. Rimane solo il famoso consiglio che gli diede a New York nei ‘70: «Suona solo le note necessarie. Le altre cerca di non suonarle». Note necessarie come questo film.