«Ma far cadere la Regione sarebbe il suicidio del Pd»
«Silurare il governo regionale sarebbe per il Pd un suicidio». Ne è convinto Marco Tarchi, politologo, professore di Scienza Politica all’Università di Firenze. «Scissione? Enrico Rossi ha una terza opzione: rimanere in bilico».
Se scissione sarà, per Enrico Rossi potrebbe esserci una terza opzione tra uscire e non uscire dal partito: rimanere sulla porta. «Restare in bilico potrebbe essere per lui un’efficace arma di ricatto». In ogni caso «silurare il governo regionale sarebbe per il Pd un suicidio». Ne è convinto Marco Tarchi, politologo, professore di Scienza Politica all’Università di Firenze.
Professor Tarchi, oggi a Roma ci sarà l’assemblea del Pd. La sinistra del partito potrebbe uscire dal Pd, se Renzi non concederà un allungamento dei tempi del congresso. A meno di 24 ore di distanza, quanto scommetterebbe sulla scissione?
«Sulla scissione immediata, poco. Affrettare i tempi non converrebbe neanche a chi ha già in mente questa decisione. Occorre più tempo per spiegare le ragioni della rottura ai militanti e dimostrare che Renzi non ha lasciato alternative. Altrimenti, la psicologia dei “fedeli alla ditta” potrebbe essere di ostacolo al successo dell’iniziativa».
Scissione o non scissione, se il Pd è arrivato a un passo dall’implosione è evidente che sono stati commessi degli errori. Quali sono stati quelli di Renzi?
«Molti, e quasi tutti imputabili al suo carattere. L’ambizione sfrenata di dimostrarsi sempre e comunque il migliore, di posare da capo indiscusso, lo ha portato a dar mostra di arroganza in modo sfacciato, a decidere da solo su tutto ciò che contava, a crearsi una cerchia di fedelissimi escludendo dai ruoli cruciali chiunque fosse sospettabile di un non perfetto allineamento. E ad irridere platealmente gli avversari, anche quelli interni. In politica, le sbruffonate si pagano. E l’intestardirsi a fare del referendum il suo personale giudizio di Dio lo ha dimostrato». E quelli delle minoranze? «Il velleitarismo, la sottovalutazione del rampantismo renziano, la disunione, i personalismi, il non preoccuparsi di stabilire da subito una piattaforma programmatica chiara e comune su cui raccogliere consensi nella base».
Ma perché il Pd non riesce a trovare un motivo di coesione neppure di fronte al pericolo di lasciare campo libero al Movimento 5 Stelle? Qual è la logica politica? Meglio soli e sconfitti che vincitori ma uniti con l’avversario interno?
«È nota la leggenda secondo cui, mentre la città era sotto assedio, a Bisanzio i maggiorenti discutevano del sesso degli angeli. Fondata o no che sia, dimostra che da sempre non basta un comune nemico a mettere d’accordo chi ormai ha troppi motivi di frizione. E in meno di un decennio di vita, il Pd non ha fatto che accumulare dissidi, incomprensioni, lotte per il primato interno. Come si può immaginare che d’improvviso tutto si acquieti perché il barbaro Grillo è alle porte?».
Ma la possibile scissione significa che era sbagliato il disegno iniziale del Pd?
«L’ho sostenuto fin dal primo momento. La fusione a freddo di spezzoni di ceto politico legati alle due formazioni che per quasi mezzo secolo si erano contrastate e confrontate per il governo del Paese recava in sé una grave tara, che la retorica conciliativa di Veltroni nascondeva ma certamente non poteva eliminare».
La scissione renderà definitivamente impossibile un governo del Pd? Qual è allora lo scenario nazionale per un governo possibile? È realistico pensare a: a) una coalizione sinistra-Cinque Stelle?; b) una coalizione Cinque Stelle – Lega; c) una coalizione PdForza Italia?
«Non è possibile dare una risposta sensata prima di sapere con quale sistema elettorale si voterà. Ed è triste che il governo del Paese sia legato al potere manipolativo di questi marchingegni, a cui molti politici — e, ohimè, altrettanti politologi — chiedono solo di soffocare quanto più possibile la rappresentanza delle opinioni dei cittadini a profitto di una governabilità astratta e fittizia, legata come è a partiti divisi in correnti l’una contro l’altra armate».
Allo stesso tempo c’è chi, come D’Alema, sostiene che la nuova sinistra non dovrà essere un partito ma un movimento. Eppure «partito», possibilmente con la maiuscola, era una parola sacra a sinistra... Non è un paradosso?
«Lo è, ma lo è altrettanto l’evoluzione che i partiti stanno subendo negli ultimi decenni: un tempo, a farli nascere e durare era l’attaccamento a valori, interessi e rivendicazioni comuni a tutti i loro membri. Oggi sono coalizioni di umori variegati e aspettative particolaristiche, legate soprattutto al perseguimento di vantaggi personali o di gruppo. Che un cambiamento di questo stato di cose sia necessario, mi pare indiscutibile. Il problema è come arrivarci. Per ora, movimenti e pensatoi non sono serviti a granché».
Questo scontro interno porterà secondo lei a un ulteriore smottamento del consenso del Pd in Toscana, dopo i risultati clamorosi di Livorno, Cascina e Sesto Fiorentino?
«Non è certo da escludere, anche se qui la tradizione e la rete degli interessi consolidati in sede locale potrebbero fare parzialmente da paracadute».
In Toscana sarà la nuova sinistra a raccogliere il malcontento? O i grillini?
«Vedo meglio il Movimento Cinque Stelle, malgrado il suo radicamento ancora precario e i molti problemi interni. Ma vediamo quale nuova sinistra nascerà».
Reggerà il governo della Regione? E qual è il futuro di Enrico Rossi in Toscana e sulla scena nazionale?
«Dipende dalla decisione di Rossi di uscire dal partito o restarvi. Restare in bilico potrebbe essere per lui un’efficace arma di ricatto. Comunque, silurare il governo regionale sarebbe per il Pd un suicidio».
Gli errori di Renzi Dall’ex premier troppa ambizione di mostrarsi sempre e comunque il migliore, ha mostrato arroganza decidendo tutto da solo E quelli della minoranza Hanno sottovalutato il rampantismo renziano, si sono divisi Troppi personalismi e nessuna piattaforma comune diretta alla base