ALTRA DITTA, STESSO PRODOTTO
Nella stagione dell’impopolarità della politica anche le scissioni della sinistra hanno perso il fascino dell’epica. Che non evitava gli effetti quasi sempre disastrosi di quegli strappi, ma almeno li caricava dell’emotività dei grandi eventi. Lacrime, anatemi, simboli. Pagine e pagine da consegnare alla memoria. E invece quale memoria ci lasceranno questi giorni? Forse ci ricorderemo del neo-socialismo di Rossi, ma il Partito socialista nacque nel 1892 e il governatore della Toscana i socialisti li ha sempre combattuti dalle file del Partito comunista. Più che a un’epopea sembra di assistere a un replay caricaturale della storia. Dietro l’incombente scissione del Pd c’è l’insofferenza verso Matteo Renzi e una sua presunta sottovalutazione della necessità di maggiori tutele sociali in un tempo di crisi economica e crescenti sperequazioni. Ma può essere sufficiente per un addio al Pd l’avversione per il suo leader, anche se lui non ha fatto nulla per smussare le asprezze? La stessa divisione che si è prodotta sul referendum costituzionale non è mai assurta a conflitto tra due visioni radicalmente diverse del nostro sistema istituzionale, che parlamentare era e tale sarebbe rimasto. Quello che si voleva evitare era una svolta che avrebbe dato comunque più efficienza a un sistema politico segnato dalla centralità di Renzi. La rottamazione del premier fiorentino a Palazzo Chigi è riuscita con la prevalenza del No alla riforma, ma ora? D’Alema e C. se ne vanno dal loro partito senza neppure uno straccio di progetto alternativo. Nasce una nuova ditta, ma non si sa che cosa produrrà. Una scissione consumata non su un’idea d’Italia ma su una questione di potere (fosse anche solo quello garantito da un tot di seggi nelle Camere senza passare dalle forche caudine renziane quando si tratterà di formare le liste dei candidati). Una circostanza che rende più paradossali gli effetti della scissione in periferia. Nell’intervista di ieri al Corriere della Sera Rossi (che peraltro il 4 dicembre si schierò per il Sì) ha detto che se qualcuno intende far cadere la giunta toscana se ne dovrà assumere la responsabilità; al tempo stesso si è dichiarato disponibile a una verifica che metta a punto un programma di fine legislatura. Domanda: ma se tra il Pd e i fuorusciti c’è la possibilità di governare insieme un territorio (o un Paese) seguendo un comune indirizzo perché fanno la scissione, se non per un pugno di scranni parlamentari (uno sicuro per l’eterno D’Alema, immaginiamo)? Per lo meno dovrebbero avere l’onestà di ammetterlo.