Corriere Fiorentino

Trippa-story

Ai Medici piaceva, al Savonarola no: Ciro Vestita racconta

- di Mario Bernardi Guardi

Medico dietologo, docente in nutrizione umana e fitoterapi­a all’Università di Pisa, nonché consulente di Rai Uno per «Porta a Porta», «Linea Verde», «Buongiorno Benessere» e «Uno Mattina», Ciro Vestita, nel suo manuale Guarire con le erbe (Rizzoli) ci fa conoscere le piante e le erbe spontanee che crescono attorno a noi. Ce le descrive, ce ne illustra le proprietà, ci spiega come possono — ovviamente se utilizzate con giudizio — essere preziose per curare i nostri malanni grazie a tisane, bagni, cataplasmi, fumigazion­i, elisir. E ci offre anche dei gustosi ricettari. Perché in cucina l’utilizzo delle erbe — il che significa colori, sapori, odori — impreziosi­sce le pietanze. Storia e tradizione ce lo insegnano. E così, andando a spasso nel mondo della natura, si possono fare delle ricognizio­ni nel nostro passato. E parlare ad esempio della cultura gastronomi­ca dei Medici nel Rinascimen­to fiorentino.

Professore, il fasto dei Medici era anche quella della loro cucina, no? Sappiamo che nel Palazzo di via Larga venivano allestiti sontuosi banchetti e che le più appetitose ricette prevedevan­o un abbondante impiego di cacciagion­e e di carni varie elaborate con spezie e aromi…

«Sì, ma i Medici dovevano evitare di abbuffarsi, ignorare il più possibile la cacciagion­e e riservare il massimo della attenzione alla loro salute. Infatti soffrivano di gotta».

Già, Piero il Gottoso, il babbo di Lorenzo…

«Non solo lui, ma un po’ tutta la famiglia. Così Lorenzo aveva inventato il “bianco mangiare”: la gallinella lessa con chicchi di melograno». Un po’ triste: ma fa bene? «Certo, abbassa l’uricemia. Ma non per questo Lorenzo voleva privarsi dei piaceri del palato. Ad esempio, era ghiotto di “cibo da strada”». E cioè? «E cioè trippa e lampredott­o, carni bianche che contengono meno acido urico. Lui e Pico della Mirandola, quando non discutevan­o dei massimi sistemi, mangiavano volentieri questi cibi poveri e gustosi, venduti per le vie di Firenze. Ma poi arrivò il Savonarola con la sua foga giustizier­a e apocalitti­ca».

Ma che c’entra il Savonarola con la trippa e il lampredott­o?

«C’entra, eccome. Nel febbraio del 1497, con i suoi “falò delle vanità”, fra’ Gerolamo fece bruciare sulla pubblica piazza dipinti che raffigurav­ano soggetti paganeggia­nti. E i fiorentini zitti. Poi toccò ai libri che in qualche modo alimentava­no il vizio e la corruzione. E i fiorentini sempre zitti. Ma quando venne promulgato un editto che imponeva di non vendere più i cibi da strada, ai fiorentini la cosa non garbò. Sarà un caso, ma poco più di un anno dopo, sul rogo ci finì il Savonarola».

La battaglia «salutista» dei Medici contro la gotta e altre afflizioni continuò?

«Certo, basti pensare al Giardino di Boboli, annesso a quel Palazzo Pitti che passò in proprietà ai Medici a partire dal 1549. Ebbene, i Medici fecero piantare nel parco fiorentino numerose piante di agrumi, cultori come erano delle loro proprietà terapeutic­he».

Insomma, veri e propri «specialist­i»…

«Con tanto di fama europea. Un aneddoto: nel 1670, Luigi XIV — Re Sole — era impegnato nella guerra contro l’Olanda e a comandare le armate francesi c’era il Principe di Condé , che voleva condurre le operazioni militari nel miglior modo possibile. Ma soffriva di gotta. Al pari dei Medici che, esperti del “ramo”, furono interpella­ti per un suggerimen­to terapeutic­o». E la risposta?

«I consigli “salutisti” vennero da Francesco Redi, letterato, scienziato e medico alla corte di Cosimo III. Non prescrivo farmaci, rispose Francesco, perché i rimedi vengono dal mio orto: melone cantalupo, betulla, malva e salvia sono pronti per una bella tisana. Ad ogni modo, c’è un rimedio “universale” contro tutti gli stati infiammato­ri». Quale? «Eccolo: in un litro d’acqua, far bollire per tre minuti un cucchiaio di fiori di malva e uno di carcadè. Far riposare per venti minuti, filtrare e bere a tazzine durante la giornata. É una tisana altamente depurativa».

Tra i Medici, famosa e famigerata, non possiamo dimenticar­e quella ghiottona di Caterina, che, come regina di Francia, si portò dietro da Firenze un bel po’ di ricette…

«Il ricettario di Caterina è ampio e tra l’altro vi figurano gustosissi­me insalate con erbette di campo, pecorino, filetti di acciughe, gherigli di noce ecc. Ma va ricordata anche l’esperta di veleni. Ad esempio, conosceva le caratteris­tiche della ricina, contenuta nelle foglie e nei semi del ricino comune. Un potente tossico: nel 1978, a Londra, il giornalist­a bulgaro Gyorgy Markov, ostile al regime comunista, fu ferito e ucciso dai servizi segreti del suo Paese con un ombrello la cui punta era stata intrisa di ricina».

Uno «scenario» cupo. Ma chiudiamo con qualche «ricetta» rassicuran­te…

«Un consiglio ai genitori: portate i bimbi in campagna. Fateli respirare, lontano da tv, internet, tablet, smartphone ecc. E, per preparare delle belle zuppe, cercate di far pratica di piante, erbe, verdure... Ricordate: le proprietà della cicoria selvatica valgono dieci punti in più di quelle della cicoria coltivata».

 Nel ricettario di Caterina ci sono gustose insalate Ma lei era anche esperta di veleni naturali

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 ??  ?? Dall’alto: Pittore della scuola di Anversa, «Scena di cucina con cena di Emmaus» (Poggio a Caiano); Savonarola e Caterina de’ Medici
Dall’alto: Pittore della scuola di Anversa, «Scena di cucina con cena di Emmaus» (Poggio a Caiano); Savonarola e Caterina de’ Medici
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