I colori di Edi Rama, il premier artista
Venerdì alla Galleria Secci di Firenze l’inaugurazione della mostra del primo ministro albanese
Tanto era il grigiore di un’adolescenza sotto il regime comunista, tanta è l’esplosione di colori con cui Edi Rama irradia qualsiasi cosa faccia: gli schizzi a pennarello sull’agenda di governo, la terracotta che si diletta a modellare nello studio d’arte di un amico. Persino le case, quando era sindaco di Tirana, amava colorare. È la risposta d’artista di chi ha iniziato la sua carriera politica spinto dal senso di liberazione da quel fardello che era il Muro di Berlino.
Perché Edi Rama nasce artista e docente all’Accademia di Belle Arti di Tirana. Solo dopo diventa politico. Prima ministro, poi sindaco della capitale (con una parentesi da cestista professionista anche nella serie A del basket italiano). Ora premier di un’Albania in crescita. Ma non per questo al riparo da contestazioni: venerdì, infatti, non riuscirà a essere a Firenze per l’inaugurazione (ore 18) della sua mostra Doodles alla galleria Eduardo Secci al numero 2 di piazza Goldoni, l’edificio che ospita il consolato del Cile. «Era atteso, gli avevo già prenotato l’albergo — spiega la direttrice della galleria Ottavia Sartini — ma un’improvvisa protesta delle opposizioni, con le tende in piazza intorno al palazzo del governo quasi ad “assediarlo”, chiedendone le dimissioni, lo ha obbligato a rimandare la partenza per questioni di sicurezza nazionale». Ma Edi Rama non ci sta, «non si è mai perso un’inaugurazione». Ha detto di voler «provare a venire in tutti i modi». Se non per l’inaugurazione, almeno successivamente: la mostra prosegue fino all’8 aprile. Lo attendevano Stefano Boeri, l’architetto milanese che sta curando con lui il progetto di riqualificazione urbanistica di Tirana, e Tommaso Sacchi dell’assessorato alla cultura di Palazzo Vecchio: era in programma un incontro pubblico.
Gli allievi di matita, i compagni di partito, gli amici, tutti di lui dicono la stessa cosa: un uomo solare, allegro, che usa i colori come risposta emotiva alla cupezza di anni di depressione economica e sociale. È in quest’ottica che vanno visti molti dei suoi Doodles, gli «scarabocchi» che compongono gran parte della sua opera: 15 anni di disegni a pennarello astratti, estemporanei, realizzati sull’agenda o sulla carta intestata del ministero, su lettere formali alle ambasciate, tra un incontro istituzionale e l’altro, nei momenti di pausa di una riunione di gabinetto, in quegli angoli di fantasia in cui l’artista prende campo sul politico in preda a un momento di straniamento. Con un’ironia tutta particolare come dimostra la sua personale visione del concetto di «censura»: scarabocchi colorati su un foglio usato per il cerimoniale di accoglienza dell’allora sindaco di Madrid Alberto Ruiz-Gallardón. Le tracce geometriche di colore coprono parole a caso del documento andando a formare quello che — visto da una certa distanza — potrebbe sembrare un atto censurato, quando in realtà è solo potentemente «colorato».
Alcuni schizzi sembrano profili di palazzi. Altri somigliano a piante di città. Le ceramiche sembrano costruzioni dai tratti surrealisti. L’urbanista che è in lui si fa strada tra le immagini astratte dell’artista puro. «La seconda sala sarà occupata da un enorme wallpaper di suoi disegni pensata dal suo allievo Anri Sala — prosegue Sartini — in un’altra il video Dammi i colori che testimonia il cambiamento sociale, urbanistico ma soprattutto cromatico della città di Tirana sotto la sua guida».