Un nuovo disciplinare: più zuccheri per soddisfare la clientela estera
Cambia il disciplinare: meno 10% di produzione e più zuccheri nell’uva
Addio vino asciutto come si diceva una volta, il Chianti si addolcisce. Da lunedì via alla rivoluzione del consorzio Vino Chianti — a cavallo tra 6 province — diverso per intendersi dal Chianti Classico. Tre le novità principali. La prima è una riduzione del 10% delle quantità massime per ettaro nel 2017. Nel 2013 il Consorzio Vino Chianti aveva stabilito un innalzamento della produzione da 90 a 110 quintali a ettaro, aumentando anche di 30 e 40 quintali la forbice con altre denominazioni toscane. Ora questa soglia viene rivista, seppur temporaneamente, per ottenere meno uve per pianta e migliorare la qualità. La seconda novità riguarda le vigne vecchie piantate con 4mila viti a ettaro che da oggi potranno produrre soltanto tre chili di uva per pianta e non più cinque. L’obiettivo in questo caso non è solo aumentare la qualità ma «è anche una misura preventiva per evitare che qualche produttore in difficoltà sia tentato di rimpiazzare le fallanze in vigna con uve provenienti da fuori» dice Lorenzo Mariani, ex presidente del Consorzio del Chianti Rufina.
A colpire però è soprattutto la terza novità. Il Consorzio del Chianti ha deciso di dare la possibilità ai produttori di lasciare nel vino qualche grammo in più di zucchero dell’uva non fermentato, passando dall’attuale limite di 4 a un nuovo limite oltre i 6,5. In pratica dal Chianti asciutto di una volta a una sorta di «Chianti bonbon» più dolce. A beneficiarne sarà chi ama un vino rotondo e approcciabile. Dai giovani al mercato cinese che non ama i gusti aciduli. «Se vogliamo — spiega infatti Giovanni Busi, presidente del Vino Chianti — incrementare la presenza della nostra Denominazione, dobbiamo mettere in condizione i nostri produttori di poter lavorare a un vino che vada nella direzione dei gusti del consumatore. Con questa scelta ci aspettiamo un incremento di vendite in tutto il Sud-est asiatico». La novità valida per il Chianti generico e soprattutto per l’export potrebbe non piacere sia in alcune sottozone più tradizionali come appunto la Rufina che dovrà valutarla al proprio interno, sia tra gli amanti del biologico. «Lo vedo come uno snaturare le peculiarità del Chianti. Così facendo massifichiamo l’offerta ma noi abbiamo anche bisogno di lavorare sulla qualità» dice Luca Tommasini, general manager dell’azienda agricola Sangervasio.