IL TRIBUNALE SUL CASO DEL TRANS E LA PROSTITUZIONE
Caro direttore, in relazione agli articoli di stampa comparsi il 10 febbraio scorso, tra cui quello del Corriere Fiorentino («Trans, quindi prostituta? Un caso giudiziario), inerenti a un presunto abuso ai danni di un transessuale che si afferma perpetrato in un’udienza tenuta al tribunale di Prato a seguito della richiesta di rettifica dei dati anagrafici dell’attore, da quello maschile ad altro di genere femminile, ai sensi dell’articolo 8 della legge 47/1948 chiedo nella qualità di presidente del detto tribunale, con l’interesse conseguenziale che in tale veste mi fa capo, la pubblicazione della presente rettifica secondo le modalità e le forme previste dalla legge. Il difensore nominato e comparso in udienza è l’avvocato Cristina Polimeno e non l’avvocato Cathy La Torre, allo stato del tutto estraneo al processo, che, qualificato attivista Lgbt ed ex capogruppo Sel al Comune di Bologna, compare negli articoli in questione nella veste di denunciante il presunto abuso. Dopo aver vagliato gli elementi posti a sostegno della domanda, rilevato che il ricorrente aveva presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, al solo fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l’ammissione al beneficio di legge, e come avviene di regola in casi analoghi, il collegio riteneva opportuno domandare all’interessato, attraverso la persona del presidente, se svolgesse una qualche attività lavorativa e come provvedesse al suo personale mantenimento dal momento che l’istanza di gratuito patrocinio si basava sulla totale assenza di risorse patrimoniali o finanziarie. L’interessato rispondeva che per la sua condizione e per la divergenza tra il nome che chiedeva di cambiare e il suo aspetto fisico gli era impossibile trovare un lavoro e dichiarava di vivere con i proventi della prostituzione. Il contenuto della risposta veniva correttamente e doverosamente riportato a verbale. A chiusura dell’udienza lo stesso difensore, ritenendo che la risposta non fosse stata resa in maniera univoca, riproponeva direttamente il quesito al proprio assistito il quale confermava di procurarsi da vivere prostituendosi e ribadiva, rivolgendosi al suo legale, di non poter fare diversamente per la sua condizione. Il tribunale riservava poi la decisione, successivamente assunta con ordinanza, per vagliare la necessità di un eventuale istruttoria, anche alla luce del parere negativo espresso dal pubblico ministero, e il percorso imposto dal rito processuale previsto dalla legge per il caso in esame. Quindi nessun abuso, nessuna prevaricazione e nessuna lesione della dignità della persona vi sono stati, ma solo il doveroso esercizio di un potere di controllo finalizzato non all’oggetto principale della causa, bensì alla verifica dei presupposti previsti dalla legge affinché il compenso per il ministero difensivo potesse essere posto a carico della collettività, in linea con le disposizioni del testo unico 115/2002 sulle spese di giustizia e in aderenza all’orientamento espresso in sede di legittimità per il quale il giudice ai fini del detto accertamento può anche attingere informazioni direttamente dalla parte. La verità dei fatti quindi diverge in maniera eclatante con la notizia riportata, sostanzialmente negli stessi termini, dagli organi di informazione, quantunque in maniera indotta da una rappresentazione strumentale da parte di chi non è stato neppure protagonista della vicenda. Riservo ogni consequenziale azione di legge nei confronti di chi si è reso dolosamente responsabile di una condotta diffamatoria.