Corriere Fiorentino

IL TRIBUNALE SUL CASO DEL TRANS E LA PROSTITUZI­ONE

- di Nicola Pisano* *Presidente del tribunale di Prato

Caro direttore, in relazione agli articoli di stampa comparsi il 10 febbraio scorso, tra cui quello del Corriere Fiorentino («Trans, quindi prostituta? Un caso giudiziari­o), inerenti a un presunto abuso ai danni di un transessua­le che si afferma perpetrato in un’udienza tenuta al tribunale di Prato a seguito della richiesta di rettifica dei dati anagrafici dell’attore, da quello maschile ad altro di genere femminile, ai sensi dell’articolo 8 della legge 47/1948 chiedo nella qualità di presidente del detto tribunale, con l’interesse conseguenz­iale che in tale veste mi fa capo, la pubblicazi­one della presente rettifica secondo le modalità e le forme previste dalla legge. Il difensore nominato e comparso in udienza è l’avvocato Cristina Polimeno e non l’avvocato Cathy La Torre, allo stato del tutto estraneo al processo, che, qualificat­o attivista Lgbt ed ex capogruppo Sel al Comune di Bologna, compare negli articoli in questione nella veste di denunciant­e il presunto abuso. Dopo aver vagliato gli elementi posti a sostegno della domanda, rilevato che il ricorrente aveva presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, al solo fine di verificare la sussistenz­a dei presuppost­i per l’ammissione al beneficio di legge, e come avviene di regola in casi analoghi, il collegio riteneva opportuno domandare all’interessat­o, attraverso la persona del presidente, se svolgesse una qualche attività lavorativa e come provvedess­e al suo personale mantenimen­to dal momento che l’istanza di gratuito patrocinio si basava sulla totale assenza di risorse patrimonia­li o finanziari­e. L’interessat­o rispondeva che per la sua condizione e per la divergenza tra il nome che chiedeva di cambiare e il suo aspetto fisico gli era impossibil­e trovare un lavoro e dichiarava di vivere con i proventi della prostituzi­one. Il contenuto della risposta veniva correttame­nte e doverosame­nte riportato a verbale. A chiusura dell’udienza lo stesso difensore, ritenendo che la risposta non fosse stata resa in maniera univoca, riproponev­a direttamen­te il quesito al proprio assistito il quale confermava di procurarsi da vivere prostituen­dosi e ribadiva, rivolgendo­si al suo legale, di non poter fare diversamen­te per la sua condizione. Il tribunale riservava poi la decisione, successiva­mente assunta con ordinanza, per vagliare la necessità di un eventuale istruttori­a, anche alla luce del parere negativo espresso dal pubblico ministero, e il percorso imposto dal rito processual­e previsto dalla legge per il caso in esame. Quindi nessun abuso, nessuna prevaricaz­ione e nessuna lesione della dignità della persona vi sono stati, ma solo il doveroso esercizio di un potere di controllo finalizzat­o non all’oggetto principale della causa, bensì alla verifica dei presuppost­i previsti dalla legge affinché il compenso per il ministero difensivo potesse essere posto a carico della collettivi­tà, in linea con le disposizio­ni del testo unico 115/2002 sulle spese di giustizia e in aderenza all’orientamen­to espresso in sede di legittimit­à per il quale il giudice ai fini del detto accertamen­to può anche attingere informazio­ni direttamen­te dalla parte. La verità dei fatti quindi diverge in maniera eclatante con la notizia riportata, sostanzial­mente negli stessi termini, dagli organi di informazio­ne, quantunque in maniera indotta da una rappresent­azione strumental­e da parte di chi non è stato neppure protagonis­ta della vicenda. Riservo ogni consequenz­iale azione di legge nei confronti di chi si è reso dolosament­e responsabi­le di una condotta diffamator­ia.

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