Rossi, il giorno della ripartenza Con una sfida al suo ex partito
Il governatore presenta Democratici e Progressisti. «Non mi dimetto, mi devono sfiduciare»
Sette giorni dopo Enrico Rossi è di nuovo a Roma, quartiere Testaccio, con Roberto Speranza e Arturo Scotto al posto di Michele Emiliano È sereno, sembra essersi tolto un peso di dosso. L’uscita dal Pd è irreversibile e adesso il governatore della Toscana guarda solo avanti, nomina una sola volta Renzi nel discorso alla presentazione del suo nuovo movimento politico «Articolo uno - Democratici e Progressisti». È deciso a portare avanti su un doppio binario l’impegno da governatore e quello nazionale. A non dimettersi come alcuni gli chiedono — «Se il Pd vota la sfiducia allora darò le dimissioni» — lavorando per coniugare «radicalità e cultura di governo». E nella Capitale Rossi incassa anche un paio di «tieni duro» con l’accento romanesco e molte strette di mano, nella sala troppo piccola e presto stracolma.
Niente Bersani e D’Alema, in prima fila al Teatro Vittoria la scorsa settimana, ma Epifani sì e una decina di parlamentari scissionisti, da Miguel Gotor a Nicola Stumpo, da Roberta Agostini all’eurodeputato Massimo Paolucci fino a Michele Piras, ex Sel come Massimiliano Smeriglio, vice presidente della Regione Lazio, all’ex Pd Stefano Fassina, venuto ad ascoltare. Nessun toscano al seguito di La citazione dell’articolo 1 della Costituzione scelta come slogan del nuovo movimento. Sopra: Arturo Scotto, Enrico Rossi e Roberto Speranza Rossi, tranne il fidatissimo Ledo Gori, ma questa volta l’appuntamento non era «pubblico» quanto politico, il lancio del «nuovo soggetto di sinistra» che precede quello dei gruppi parlamentari Democratici Progressisti, a cui aderiranno i quattro toscani Tea Albini, Filippo Fossati, Paolo Fontanelli (che ieri su Facebook ha ufficializzato lo strappo, citando una canzone di Vasco Rossi «Sai, essere libero costa soltanto qualche rimpianto. Si, tutto è possibile. Perfino credere che possa esistere un mondo migliore») e Maria Grazia Gatti. «È il primo passo di un movimento che mette al primo posto l’articolo uno della Costituzione, i giovani, la lotta alle disuguaglianze di cui parla solo Papa Francesco — apre l’evento Speranza — L’unica scissione è quella tra il popolo e la sinistra. Vogliamo un nuovo centrosinistra aperto e plurale, dire basta al partito del leader, del “ciaone”». Rossi parla brevemente, interrotto da più di un applauso. «Sono uscito dal Pd dopo anni di politiche sbagliate, ora possiamo finalmente dirlo. Il nostro nemico è la destra e agli amici e compagni del Pd dico di stare attenti al centrismo, chiedo loro se vogliono la conta o i contenuti. Noi partiamo dai contenuti, dall’articolo uno, lontani dal neoliberismo di Renzi. Il nostro blocco sociale sarà ampio, dagli ultimi al capitalismo sano: se riusciremo a fare questo saremo maggioranza!». «Noi nasciamo oggi. Ci chiedono quanto prenderemo ? — ha concluso — Quello che c’è oggi sui giornali, i sondaggi, non è poco. Ve ne faremo vedere delle belle».
E prima di tornare a Firenze, il governatore si ferma un attimo e risponde alle domande. Rimpianti, poteva andare diversamente e restare nel Pd? «Nessun rimpianto. È stata una decisione dolorosa, un pezzo della mia storia, ma dopo le sei ore di assemblea nazionale Dem di domenica ha capito che non c’era più spazio, che era un passo inevitabile ed ho deciso. Costruiremo il movimento con calma, senza fretta, guardando avanti, al nuovo scenario». Amareggiato perché i «suoi» assessori Vittorio Bugli e Vincenzo Ceccarelli restano nel Pd, non la seguono? «No. Ho parlato serenamente con loro e non c’è alcun problema; anzi è importante lavorare bene in Regione, non tanto per me quanto per i toscani». Ma c’è chi chiede le sue dimissioni da presidente, visto che è stato eletto nel Pd... «Se il Pd presenta una mozione di sfiducia nei miei confronti e verrà votata, allora darò le dimissioni e si andrà al voto. Cioè tutti a casa. Altrimenti continuo a lavorare per la Toscana con lo stesso impegno di sempre e farò quello che penso liberamente sul piano politico nazionale. Io non ho fatto tutto quello che ho fatto per candidarmi ad un posto in parlamento — chiude Rossi — Mi sono messo in gioco ma non sarò io a mettere in gioco la Toscana».