«Con le donne al comando il Pd sarebbe ancora unito»
Parla la vicepresidente del Senato, mercoledì guiderà per la prima volta l’aula
Mercoledì prossimo il Senato sarà guidato da una donna fiorentina. Rosa Maria Di Giorgi, eletta pochi giorni fa vicepresidente di Palazzo Madama, presiederà per la prima volta l’aula in sostituzione del presidente Pietro Grasso. «Credo che mi tremeranno le gambe», confessa Di Giorgi, che pur non avendo certo un «curriculum» da militante femminista risponde così alla domanda sulla scissione del Pd, il suo partito, e le leadership maschili e femminili: «Se i leader fossero donne, la scissione non ci sarebbe stata. Noi siamo più concentrate sul risultato e meno sulla competizione».
Senatrice, renziana, quindi favorevole all’abolizione del Senato così come lo conosciamo, e ora vicepresidente di Palazzo Madama. È una specie di nemesi?
«(Ride) Ho pensato la stessa cosa, appena è emersa l’ipotesi che io potessi fare la vicepresidente. Al di là delle battute, noi con la riforma avevamo pensato di trasformare il Senato per rendere più efficienti le istituzioni. Gli italiani però hanno bocciato la nostra proposta. E i cittadini sono sempre sovrani».
Ma ora, tre mesi dopo il referendum, secondo lei era sbagliata la riforma o è Renzi ad aver sbagliato strategia nei confronti dell’opinione pubblica?
«I motivi della vittoria del No sono stati diversi: una sorta di conservatorismo che porta a non affrontare volentieri i cambiamenti (e quello che noi proponevamo era un cambiamento forte), la crisi economica che penalizza sempre chi governa e il fatto che la campagna referendaria sia divenuta un’occasione per dare sfogo al malumore generale prodotto dalle difficoltà economiche».
Discorso chiuso, quindi? Addio alle riforme?
«Io penso di no. Certo, a breve scadenza sarà difficile avanzare un’altra proposta forte, ma resta la necessità di allineare il nostro Parlamento a quelli di altri Paesi europei».
Lei è stata eletta vicepresidente del Senato con un voto trasversale agli schieramenti. Ma in un clima di esasperazione dello scontro non sarà facile gestire l’aula.
«Io credo molto nelle istituzioni, per questo non sopporto che siano insultate. Purtroppo c’è un populismo scatenato anche nelle aule parlamentari. Io mi siederò alla presidenza con questo spirito: grande rispetto per tutti e richiesta di grande rispetto da parte di tutti».
Legge elettorale. Si va verso il ritorno del proporzionale, seppure corretto. Le larghe intese con Berlusconi sono inevitabili?
«Il Pd ha proposto il Matta- rellum. Vedremo se si riuscirà a trovare un accordo tra le forze politiche, ma mi sembra evidente che comunque ci vorrà un premio di governabilità. Alle elezioni il Pd punterà ad avere la maggioranza, ovviamente. Di sicuro non saremo mai il partito dello sfascio».
Lei è per le elezioni anticipate o per votare nel 2018?
«Ci sono pro e contro in entrambe le soluzioni. Di lavoro da fare ce n’è tanto, ma d’altra parte è vero che la legislatura è di fatto finita il 4 dicembre. Il presidente Mattarella, con la sua saggezza, farà la scelta migliore per l’Italia».
Parliamo del Pd, di cui lei è una fondatrice. Alla luce della scissione, si può dire che è una scommessa persa?
«Assolutamente no. La scelta di chi se ne va mi causa grande dolore, ma è una contraddizione in termini. Se ne vanno alla vigilia del congresso, cioè il momento più importante della democrazia interna. Io nel Pd ci credo perché è nato per essere un presidio della democrazia italiana. Chi ci rinuncia fa un gravissimo errore».
In questa scissione manca l’emozione dei grandi strappi della sinistra. Perché?
«Perché non si capisce molto bene perché se ne vanno. Forse qualcuno voleva distruggere il partito perché considera Renzi un marziano e mal tollera che sia segretario. Ma si dimenticano che lui è stato eletto dai nostri iscritti. È dal 2013 che c’è la sensazione di avere un partito dentro il partito: abbiamo fatto una grande fatica a tenere insieme tutti e nessuno della maggioranza ha mai voluto l’uscita di qualcuno...»
Però all’ultima Leopolda si è levato il coro «Fuori, fuori»: un «invito» ad andarsene rivolto ai non renziani.
«Senta, io ero lì. Un paio di persone si sono alzate e hanno urlato quella cosa, ma Renzi li ha subito fermati. Su quell’episodio è stata fatta una grande strumentalizzazione. E mi faccia aggiungere una cosa: qualche giorno fa noi donne del Pd abbiamo fatto un appello per l’unità, di cui nessuno ha parlato, e nel giro di poche ore abbiamo raccolto 1800 firme...». Quindi? «Quindi per favore non si parli del “silenzio delle donne del Pd”, come ho letto in questi giorni. Perché non è vero che siamo state zitte».
Facciamo finta che i leader del Pd siano tutte donne. La scissione ci sarebbe stata lo stesso?
«Sto al gioco, ok. E dico che no, la scissione non ci sarebbe stata: le donne si concentrano sui risultati concreti ed evitano le contrapposizioni senza possibilità di mediazione».
Da militante e dirigente Pd, quali idee porterà al congresso?
«Insieme ad altri amici stiamo preparando un documento che sostiene una cosa semplice e forte: bisogna rimettere al centro di tutto la persona. Un documento di impronta cattolico-democratica, per intenderci, che parlerà di protezione dei più deboli e di sussidarietà».
L’ultima volta che ha sentito Renzi? Che le ha detto?
«Pochi giorni fa. L’ho sentito molto determinato, come sempre».