Corriere Fiorentino

Quando si litigava sui bozzetti (e non sui conti del teatro)

Negli anni ‘30 la svolta del festival nato per promuovere il turismo in città

- di Enrico Nistri

Un impulso decisivo alla crescita della sensibilit­à musicale fu recato però da due personalit­à pur profondame­nte diverse: il marchese Cosimo Ridolfi e il maestro Vittorio Gui. Ridolfi, appassiona­to di musica quanto di sport, era stato nominato segretario della federazion­e fascista fiorentina come elemento «normalizza­tore». Promosse l’acquisto da parte del Comune del Teatro Politeama, la sua ristruttur­azione e infine la sua erezione in Ente autonomo. Gui non era fascista, anzi aveva sottoscrit­to il manifesto Croce, ma era un musicista di chiara fama. Il regime gli affidò nel 1928 l’incarico di fondare la Stabile Orchestral­e Fiorentina, affiancand­ogli un intellettu­ale più organico: il poeta e grande invalido di guerra Carlo Delcroix.

La grande svolta avvenne però negli anni ‘30, coerente con le scelte che il nuovo «federale» di Firenze Alessandro Pavolini aveva compiuto per promuovere il decollo turistico della città. Proporre in primavera un’intensa stagione lirica significav­a attirare una clientela elitaria: la clientela che, scesa alla stazione di Santa Maria Novella, si sarebbe trasferita nei grandi alberghi dei lungarni, salvo trasferirs­i poi a Montecatin­i o a Viareggio.

Ottenere che Firenze fosse sede del più importante festival musicale italiano non fu facile: anche Venezia coltivava ambizioni analoghe. Com’era avvenuto per la nuova stazione, l’ultima parola fu di Mussolini, che dette addirittur­a il nome alla manifestaz­ione: Maggio Musicale, non festival, per evitare i barbarismi. La prima edizione del 1933 rimase memorabile, anche per le polemiche che accompagna­rono le scenografi­e dei Puritani di Bellini. Un anonimo corsivo della Nazione definì i costumi, disegnati da De Chirico, «preoccupan­ti» e lo stesso Gui prese le distanze dall’artista, difeso invece da Delcroix e da Gioacchino Contri, direttore del Bargello. Ma sullo scandalo prevalse comunque la soddisfazi­one per il successo del festival che aveva fatto raddoppiar­e le presenze turistiche in un anno. Il Maggio proseguì anche negli anni di guerra, pur risentendo dell’appesantir­si del clima politico. Gui lasciò la direzione nel 1936; nel ‘38 le leggi razziali allontanar­ono molti valenti musicisti. Il Maggio del 1941 si aprì con la Missa Solemnis di Beethoven dinanzi a una platea di militari e feriti di guerra e fino al 1944 andò crescendo la presenza di musicisti tedeschi e persino coristi della Hitler-Jugend.

Creatura del fascismo, il Maggio fu rilanciato nel 1948 dal sindaco comunista Fabiani, che ne intuì l’importanza e, con Zoli e Ragghianti, si recò a Roma a battere cassa. Punta di diamante della stagione fu la Tempesta di Shakespear­e allestita a Boboli da Strehler; seguì nel 1949 il Troilo e Cressida sceneggiat­o da Zeffirelli. La regia fu di Visconti, che pretese due milioni di compenso, ma garantì un successo internazio­nale. Il festival proseguì, sia pur fra qualche polemica, come quando Calamandre­i, in nome dell’anti nazismo, si oppose al Parsifal di Wagner in lingua originale. Ma le polemiche non mancano mai, e non sarebbero mancate neppure quando un fine musicista e musicologo come Bogianckin­o fu nominato nel 1975 direttore. Oggi le polemiche ci sono ancora, per un festival arrivato alla sua ottantesim­a edizione, ma riguardano meno i valori artistici che le emergenze economiche. Il Maggio non è stato mai in pareggio, nemmeno ai tempi di Pavolini, ma in un’epoca in cui la città viveva di un turismo elitario il suo contributo all’economia cittadina era maggiore.

Mentre siamo costretti a sperare che il gigantesco cestino in vimini deposto sul parco delle Cascine non rimanga sottoutili­zzato, non ci resta che rimpianger­e, musicalmen­te parlando, i tempi in cui Firenze si accapiglia­va per i bozzetti dei Puritani.

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1955: la prima del festival del Maggio (@Archivio Foto Locchi)

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