Mostro, la sentenza sul film è un caso
Calamandrei per il giudice è ancora «sospettabile», la figlia: atroce. Risarcimento danni al pm Canessa
Assolto definitivamente dall’accusa di essere il mandante dei delitti del Mostro di Firenze, nove anni dopo, Francesco Calamandrei, l’ex farmacista di San Casciano, morto nel 2012, si ritrova improvvisamente «condannato» da un giudice del tribunale di Firenze che doveva semplicemente decidere se la fiction televisiva prodotta da Fox e poi andata in onda anche sulle reti Mediaset, fosse diffamatoria nei suoi confronti. «Calamandrei, persona ancor oggi sospettabile di essere tra i soggetti ispiratori di diversi duplici omicidi, nonostante l’incontrovertibile verdetto accusatorio» è l’etichetta che mette il giudice Lisa Gatto nelle motivazioni della sentenza con cui ha assolto chi ha prodotto e distribuito la fiction.
«Tutto questo è atroce — protesta Francesca Calamandrei, figlia del farmacista — Mio padre non trova pace neppure da morto. Quel giudice ha riscritto una sentenza, senza tenere conto del fatto che lui è stato assolto da quelle terribili accuse nel 2008. Che giustizia è mai questa? Quelle parole che mi risuonano nella testa dal giorno in cui le ho lette, non le posso proprio accettare».
Francesca da anni sta combattendo una battaglia per difendere la memoria del padre scomparso. «Lo sto facendo per i miei figli — spiega — che si sono sentiti definire “i nipoti del Mostro” e che il giorno della sua morte hanno visto i telegiornali aprire con la notizia “Mostro di Firenze, morto il farmacista Calamandrei” e mi hanno chiesto conto di quelle parole». ù
Francesca è stata accanto al padre a tutte le udienze del processo. Quando ha visto quella fiction pubblicizzata come «film verità», in cui il farmacista viene rappresentato come colpevole, con nome e cognome e in cui vengono omesse molte verità — prima tra tutte che la grande accusatrice del farmacista è l’ex moglie malata psichiatrica, dichiarata incapace di intendere e volere che da anni vive in una casa di cura — non ha potuto fare a meno di tornare in tribunale: «Quel film è stato prodotto dopo la sentenza — si sfoga Francesca — e allora perché non ne hanno tenuto conto? Per vent’anni abbiamo vissuto l’inferno. I sospetti, le perquisizioni, il processo. Pensavamo di aver chiuso il cerchio con la sentenza di assoluzione in cui il giudice dice chiaramente che mio padre va assolto perché il castello accusatorio contro di lui in anni di indagini è stato costruito su una serie di sillogismi che mancano di base logica. Poi invece è arrivato il film e abbiamo ricominciato tutto da capo».
Adesso l’avvocato Gabriele Zanobini ha presentato ricorso in Appello contro la sentenza di assoluzione del film. «Per il processo e poi per la sentenza Calamandrei non è né il mandante né l’esecutore materiale dei delitti del Mostro — scrive nel ricorso l’avvocati — ma per il film Calamandrei è l’autore, il mandante, l’esecutore materiale nonostante l’assoluzione. Tutto ciò è fare opera di ingegno creativo, informativo o vera e propria diffamazione sulla pelle dell’unico sopravvissuto all’epoca del film tra tutti i coinvolti nella vicenda processuale del Mostro?».
Francesca Calamandrei non è stato l’unica a fare causa ai produttori del film. Anche il pm Paolo Canessa, titolare dell’inchiesta sul Mostro, ha citato in sede civile la produzione del film ritenendosi diffamato dalla narrazione. Il giudice, nel suo caso, ha riconosciuto un risarcimento danni di 70 mila euro per alcune scene.
Sentenza questa, sottolinea l’avvocato nel ricorso, totalmente ignorata dal giudice di Firenze. Così come è stata ignorata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del marzo 2015 che stabilisce la necessità di bilanciare il diritto alla creatività e il diritto all’onore e alla reputazione. E in caso di lesione del diritto all’onore e alla reputazione, quest’ultimo deve prevalere sempre sul diritto alla creatività. E non si può far credere, si legge sempre nel ricorso, che con la scritta apparsa alla fine del film — il Calamandrei è stato assolto — si sia riaffermata la sua innocenza.