I re toscani della panchina (che allenano anche in tv)
ALLEGRI-SARRI-SPALLETTI
Primo, secondo e terzo. Allegri, Spalletti e Sarri. Certo, l’ordine potrebbe mutare (alla fine del campionato mancano ancora dodici partite) ma una cosa è certa: i primi posti della classifica di serie A, da qui al 28 maggio, se li contenderanno loro, i tre toscani sovrani indiscussi della panchina, maestri di tattica e, più o meno consapevolmente, di comunicazione. Così mentre Firenze archivia la parentesi portoghese e guarda con interesse al prossimo allenatore (sperando che sia proprio un toscano), il terzetto conquista anche la ribalta mediatica: le interviste e i modi di dire zeppi di inflessioni della loro terra, puntualmente fanno il giro dei social network e danno spunto agli imitatori per esilaranti gag (vedi Ubaldo Pantani a Quelli che il calcio). Diventano «virali», direbbero gli esperti.
Un livornese, un fiorentino della Valdelsa e un altro del Valdarno. Tre zone completamente diverse nella Toscana dei campanili, tre modi differenti di affrontare la vita e il calcio: «Ma — fa notare Renzo Ulivieri da San Miniato (Pisa), presidente dell’Associazione italiana allenatori — tutti e tre si mostrano per quello che sono, niente manfrine, non c’è cura dell’immagine ma genuinità». E allora, al di là delle qualità tecnico-tattiche («sono allenatori veri, i più bravi in questo momento», sottolinea ancora Ulivieri) cosa li fa diventare «fenomeni» anche fuori dal campo? Spiega Enrico Paradisi, docente di linguistica in pensione, collaboratore dell’Accademia della Crusca e autore di vari saggi sul linguaggio sportivo in tv e in radio: «Ognuno di loro ha una forza specifica, che può derivare senz’altro dalle caratteristiche dei posti dove sono nati e cresciuti. Poi ci sono ragioni più generali: il linguaggio sportivo è entrato a far parte del nostro modo comune di parlare soprattutto perché la perdita o il guadagno, la sconfitta o la vittoria spesso sono il solo orizzonte linguistico in cui riusciamo a conoscerci e a descrivere noi stessi». Ma prendiamo i tre mister uno per uno: Allegri, continua Paradisi, pur essendosi «sgrezzato e formato nel bagno purificatore e ricco di incensi di due tra i più grandi club italiani, il Milan di Berlusconi prima e la Juventus degli Agnelli poi, e pur avendo raggiunto risultati eccellenti, risulta ostico. Viene continuamente messo in discussione dagli stessi tifosi bianconeri, tradizionalmente affetti da bulimia di successi». Il caso Bonucci (con tanto di scontro negli spogliatoi e conseguente punizione del difensore) è emblematico: «Non mi meraviglierebbe se da buon livornese fosse lui per primo a decidere di togliere il disturbo». La toscanità si esprime invece in modi diversi negli altri due: «Spalletti — racconta l’esperto della Crusca — ha acquisito nel corso del tempo e dei luoghi una sicurezza che gli permette di navigare nel caotico e burrascoso mare capitolino. Il sofisticato e allusivo eloquio fiorentino è l’arma di cui si serve per tenere a bada l’infuocato ambiente. Le domande più scomode sono dirottate dietro il riverbero di modi di dire e apologhi, come quello del Cioni e della quantità di mangime di cui ha bisogno per alimentare i suoi polli, che, nel tempo consumato per la loro decodificazione, portano a spasso e raffreddano tutte le questioni, a volte ostili, che gli vengono poste. Gli riesce così di allenare oltre che i giocatori l’ambiente mediatico».
Infine Sarri: «L’impeto anti De Laurentiis non riposa sulla raffinata elusività linguistica, il suo eloquio è corretto ma del tutto diretto. Al produttore di immagini De Laurentiis, Sarri si oppone con un’unica immagine, neppure troppo aggraziata e coltivata: quella della sua tuta in primo piano cui l’allenatore di Figline aderisce con tutto se stesso. Perché è il simbolo del proprio lavoro sul campo e degli effetti che produce sul gioco della squadra. Oggi il Napoli, ieri l’Antella. Con entrambe le squadre e con tutte le altre da lui allenate si affermano gli stessi principi. E l’uomo-tuta non deroga dai principi, anche perché non sono astratti ma ci propongono le più belle immagini di calcio visibili oggi in Italia. E un produttore di immagini come AdL dovrebbe tenerne conto: non sarà che il popolo di Napoli ama più le immagini di Sarri che quelle dei suoi film?».
Insomma, così diversi così uguali nell’essere controcorrente. C’è però secondo Ulivieri un tratto comune in tutti gli allenatori toscani (tra l’altro anche in serie B due fiorentini, Leonardo Semplici e Marco Baroni sono rispettivamente secondo e terzo in classifica con Spal e Benevento): «Noi abbiamo un po’ di “merdite” in più. No, non è un termine dispregiativo: vuol dire va bene tutto ma non mi pestare. Fa parte del nostro spirito e del nostro modo di saperci anche prendere in giro».
Parola agli esperti Ulivieri: né calcoli né manfrine, sono genuini Paradisi (Crusca): tre modi diversi di parlare e di mostrarsi