IL DOVERE DELLE DONNE
«Non mi appartiene, la festa? È goliardia»
«Ogni legame umano è esposto alla precarietà. Essere in un legame significa essere sottoposti all’incognita del desiderio dell’altro». Queste parole dello psicoanalista Massimo Recalcati tratte dal suo libro L’uomo senza inconscio (Raffaello Cortina Editore, 2010) risultano di qualche utilità per comprendere gli episodi di violenza, anche omicida, che esplodono, con sempre maggiore frequenza, all’interno di legami di coppia. Un elemento ricorrente li accomuna: la brutalità viene agita, quasi esclusivamente, contro la donna. Non si può rimanere indifferenti a fronte della gravità del fenomeno. E neppure a fronte della sofferenza silenziosamente subita da parte della donna. In un contesto domestico dove, però, l’atto estremo che può consumarsi è il sintomo di problematiche psicologiche non riconosciute nella loro gravità e non affrontate terapeuticamente. Si presume un iter di prevaricazioni, minacce, aggressioni anche fisiche che la donna ha tenuto celato all’esterno e che, forse, ha giustificato considerandole prove tangibili di amore e, comunque, funzionali alla sopravvivenza del legame. Si delinea, dunque, il quadro psicologico classico sado-masochistico dove la donna è la vittima e l’uomo il sadico tormentatore. Ma sappiamo anche che ogni relazione sentimentale non può prescindere da una relazione di potere che si struttura al suo interno. È ragionevole supporre che in questi contesti relazionali il potere non sia sempre esclusiva prerogativa del sadico. In altri termini occorre riflettere anche sull’eventuale ruolo, indubbiamente non passivo e non scevro da ombre, che la vittima può svolgere nel volere tenere legato a sé il partner in una relazione emotivamente ad alto rischio. Ma che, comunque, può «funzionare» ed anche a lungo. E, poi, l’esplodere della furia omicida, la sua vittima, la domanda di rito, ovvero: tanto orrore avrebbe potuto essere evitato? Come donna avverto un pugno nello stomaco ogni volta che leggo che una donna è stata massacrata dal suo compagno.
Al posto della mimosa per la festa della donna meglio un mazzo di fiori durante un qualsiasi altro giorno. «Un omaggio floreale fa sempre piacere, è anche un bel fiore, ma riceverla l’8 marzo mi lascia indifferente». Monica Faenzi, deputata ex Forza Italia, oggi in quota Ala, non ama la festa internazionale della donna. «Non l’ho mai festeggiata perchè mi trovavo sempre a lavorare quel giorno. Non è una festa che mi appartiene, sinceramente non è nelle mie corde». Per la parlamentare grossetana «l’evento che l’ha determinata ha certamente bisogno di essere e ricordato in qualche modo» ma l’8 marzo «ormai si è allontanato da quello che rappresenta, ed è finito per diventare una festa goliardica, in cui le donne si ritrovano insieme per divertirsi, un momento ludico». Per festeggiare le donne più che una celebrazione e un giorno dedicato una sola volta all’anno ci sarebbe bisogno di altre piccole iniziative quotidiane. «Non credo ci sia bisogno di una festa per affermarci, ma servirebbero battaglie da fare tutti i giorni. Nel mio caso non ho avuto difficoltà a fare politica e la carriera, anzi il fatto di essere donna mi ha agevolato, ma per molte non è così. Le donne rimangono mamme anche quando lavorano e la tradizione vuole ancora che siano loro a rinunciare alla professione per dedicarsi alla famiglia. Dovremmo cercare di agevolare e supportare le donne nel mondo del lavoro, rendere più facile la loro vita professionale: questo potrebbe far sì che le donne possano occupare posti che oggi sono occupati da uomini». È una voce femminile «controcorrente»: non ama la festa della donna, è contraria alle quote rosa e alle preferenze di genere. E come trascorrerà Faenzi la giornata dell’8 marzo?». «Al lavoro» sorride. «Sarò in Parlamento, poi la sera al mio ristorante a Roma. Che ospita per l’appunto cene per la festa della donna».
Monica Faenzi Oggi sarò in Parlamento, stasera lavorerò nel mio ristorante a Roma, lì sono in programma cene per la Festa della donna