SUONA PERAHIA AL PIANO, SENZA LIMITI
Domani all’Opera di Firenze il recital del grande maestro innamorato di Firenze «Studiare è necessario, la vita del concertista è dura ma l’amore per la musica dà la forza per sopportare tutto. Beethoven? Troppo avanti, come Brunelleschi»
«Quando sono in tournée studio due ore ogni giorno, è assolutamente necessario. Ma quando sono a casa lo studio al piano non ha limiti. La vita del concertista è molto dura, è difficilissimo preparare un programma, studiare ogni nota e ogni passaggio. É l’amore per la musica, la gioia che ti dona e che ti sgorga dal profondo a darti la forza per sopportare tutto questo». Concorda con Aldo Ciccolini il grande pianista Murray Perahia. Ciccolini affermava che chi vuole fare il solista vi si deve dedicare integralmente, niente lo deve distrarre dalla propria missione. Anche se, a onor del vero, Perahia, nato a New York dove ha iniziato lo studio del piano a quattro anni, ha una famiglia, una moglie che parla un italiano perfetto con accento milanese e due figli di cui uno, attore, è stato recentemente premiato in America per un suo monologo come miglior caratterista.
Perahia ha una lunga frequentazione con Firenze, il suo primo concerto data 1973 per gli Amici della Musica, dove è tornato più volte. Anche al Maggio, nel 1984 sotto la direzione di Giulini, nel 1990 con Zubin Mehta. Domani (ore 20) sarà al Teatro dell’Opera per il ciclo «I grandi interpreti», una collaborazione Maggio e Amici della musica. In programma la Suite Francese n. 6 BWV 817 di Bach (oggetto di una recente incisione del pianista statunitense, la sua prima con Deutsche Grammophon), a cui seguono i Quattro Improvvisi D 935 di Schubert, il Rondò KV 511 di Mozart e, per finire, l’ultimo titolo del catalogo di Beethoven, la visionaria Sonata op. 111. «Io scelgo un brano cardine attorno a cui costruisco l’intero programma, cercando una rete di relazioni, per similitudini o per opposizione», spiega Perahia. «In questa ultima composizione di Beethoven ritengo ci sia una forte spinta verso la vita, mentre il brano di Mozart è uno dei più tragici che egli abbia scritto. Così intimamente triste». Una vera edizione critica la sua, che lo ha portato a consultare tutti gli appunti manoscritti di Beethoven. «C’è una tale differenza con le edizioni a stampa! Credo che la sua modernità fosse così gran-
de da non venir totalmente compresa dai contemporanei». E se gli chiedi: «Come Brunelleschi con la cupola?» risponde «sì, penso che ogni genio sia sempre troppo avanti per la sua epoca». Il suo rapporto con Firenze? «La amo. Se posso vado a visitare le sue bellezze. Quando sono venuto due anni fa sono stato alla casa di Michelangelo. Una vera emozione». E il suo rapporto col pubblico? «Io adoro il pubblico italiano, è così caloroso. Due giorni fa ho suonato a Roma, mi avevano avvertito che il pubblico romano è un po’ indisciplinato, carte di caramelle, scricchiolii di cioccolatini, invece non è volata una mosca. Alla fine mi sono girato verso la mia agente stupito. Ma cosa mi hai raccontato?».